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.Il meeting del 18 luglio è di avvicinamento al Mondiale, ma la forma di Jonathan è straripante. Subito 17.38, poi un altro volo infinito. Hop, hop, hop. La bandiera è bianca, l’anemometro si ferma a uno virgola otto ed il metro sulla sabbia segna 17.98. Un solo centimetro in più del record del mondo, tanto basta a catapultare il figlio del pastore anglicano nella leggenda del salto triplo. La terra promessa sembra raggiunta. Ma non è così. C’è ancora altro da fare. Le vie del Signore sono infinite. E tra una gara ed un aereo, la predestinazione divina porta Jonathan Edwards a Göteborg, Svezia.Campionato del Mondo di atletica 1995, quello in cui Michael Johnson fa bottino pieno tra 200, 400 e 4×400 e Fiona May con 6.98 nel lungo regala all’Italia un meritatissimo oro. Le qualificazioni del salto triplo si svolgono sabato 5 agosto, ma la gara non si tiene il giorno dopo. È in calendario per lunedì 7, come se gli organizzatori avessero temuto che Edwards potesse rivedere le sue posizioni e dare forfait piuttosto che gareggiare di domenica. A conti fatti, una precauzione intelligente. Primo salto. Hop, hop, hop, e parte l’ennesimo volo. È lungo. Lunghissimo. Si vede ad occhio nudo. La bandiera è bianca, salto regolare. L’anemometro tace, uno virgola tre, e con lui tace l’intero Stadio Ullevi. Qualche secondo di silenzio tombale, poi la misura ed il boato. Diciotto metri e sedici centimetri. Record del mondo, di nuovo. Il primo uomo a superare la barriera dei 18 metri si ripete, stavolta con vento regolare. La gara sarebbe già finita qui. Ma l’atletica vive di giornate speciali e al secondo salto il pubblico batte le mani all’unisono all’uomo che vola, al Gabbiano Jonathan Edwards. Si aspettano tutti un altro attimo di eternità. E non rimangono delusi. Hop, hop, hop, regolare, cadenzato, semplicemente perfetto. L’atterraggio buca la sabbia, la bandiera è bianca e l’anemometro ormai festeggerebbe anche lui, se solo potesse. Niente silenzio stavolta, ma applausi scroscianti. E non c’è neanche il boato dopo la misura, ma un’espressione corale di sorpresa, come se in quel preciso istante fosse apparso qualcosa di sovrannaturale a tutti i presenti, nessuno escluso. Diciotto metri. Ventinove centimetri. È di nuovo record. E lo sarà almeno per i ventidue anni successivi.
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..Il volo di Edwards continua tra grandi gioie e piccole delusioni, come ad Atlanta, quando quel Kenny Harrison che aveva vinto l’oro ai Mondiali di Tokyo gli porta via la gloria, rompendo anche lui il limite dei diciotto metri. Ma avere trent’anni per un triplista non significa essere sull’orlo dell’abisso, bensì in piena maturità. E quindi nel 1998 arriva il trionfo europeo a Budapest e nel 2001 la replica della vittoria mondiale. In mezzo il meritato oro olimpico di Sydney, vinto in scioltezza con un (per lui) normalissimo 17.71. Lascia la pista nel 2003 ed intraprende un’altra carriera, quella televisiva, da commentatore sportivo e presentatore, anche di programmi religiosi. Poi nel 2007 una inaspettata crisi scuote l’incrollabile fede di Edwards. Dubbi, riflessioni e alla fine il crollo. Il figlio del pastore anglicano ora si proclama ateo. Il Gabbiano ha deciso di allontanarsi dall’ala che lo ha protetto per oltre quarant’anni, alla ricerca di un nuovo e personale significato al proprio volo. Credente o no, il suo nome resta negli annali e nel cuore degli appassionati di sport. Il suo volo leggiadro in tre tempi è nella storia dell’atletica e quella figura schiva, quasi impacciata, ha saputo conquistare ogni pubblico e ogni alloro. Ricordati di santificare le feste, dicevano. Ma nessuno ha mai specificato come. E allora hop, hop, hop, La bandiera è bianca, il salto è valido. Come sempre. Anche di domenica.