In questo momento storico del calcio italiano in cui il mondiale è appeso al filo di uno spareggio, dove i talenti latitano e i social network impazzano, il ranking scende mentre i club si nutrono avidamente dei diritti tv con gli stadi vuoti, è innegabile che qualcosa sia cambiato e stia continuando a cambiare nel mondo del nostro amato pallone. Una svolta fisiologica ed epocale che investe tutti i settori a tutti i livelli, informazione compresa. Jacopo Volpi incarna a pieno titolo, con la sua esperienza trentennale, la continuità aziendale di mamma Rai nel campo dell’informazione giornalistica sportiva dall’analogico all’avvento dei social. L’ex vice direttore di RaiSport ha condiviso negli anni di militanza la passione per la “sua” pallavolo e il calcio partendo dalla gavetta con personalità del calibro Tito Stagno e Paolo Rosi fino ai giorni nostri, con la sua sagacia e competenza frutto di una grande professionalità. L’abbiamo incontrato alla vigilia dello spareggio mondiale per discutere i “massimi sistemi” del malaticcio calcio italiano.
Buongiorno Jacopo, partiamo ovviamente dall’imminente spareggio degli azzurri. Girone sfortunato o c’è dell’altro?
E’ chiaro che dopo il sorteggio sapevamo di arrivare secondi per cui siamo dove dovremmo essere, ma sono le modalità che non mi convincono. Ventura ha cambiato troppo e spesso creando un po’ di confusione che ci levano certezze in vista dello spareggio, anche se abbiamo tutte le carte in regola per partecipare al Mondiale
Dalla sentenza Bosman in poi il calcio e le relativa gestione delle compravendite è innegabilmente cambiato. Un male per la nazionale?
Non partirei da così lontano perché la Bosman ha riguardato tutte le nazioni in egual modo. Oggi siamo ancorati da un lato ai grandi “vecchi” che ovviamente denunciano qualche flessione fisiologica e dall’altro ad una preoccupante mancanza di talenti, abbiamo molti nazionali che fanno fatica a giocare nei club e questo la dice lunga.
Un pensiero doveroso per Aldo Biscardi, giornalista e uomo d’altri tempi quando l’informazione sportiva era ancora legata al tubo catodico.
Beh innegabilmente è stata una grande figura che ha saputo creare un format vincente e in linea coi tempi. Da un lato si ergeva a giudice terzo dall’altro aizzava le parti in causa a continuare la bagarre. Un altro mondo di sicuro, ma il suo merito rimane indiscusso visto chi ha tentato di imitare il Processo non ha mai sfondato in termini di audience.
A proposito di Audience, sei da anni una colonna vivente dell’informazione sportiva targata Rai. Come è cambiato il mondo dell’informazione giornalistica sportiva?
Il mondo dell’informazione in generale è stato travolto dal web e dai social, mezzi efficacissimi e disponibili in tempo reale. Il problema è come si utilizzano e su questo noto degli abusi, molti colleghi sono tentati più da un tweet a effetto che ad approfondire le notizie dalle fonti. E’ un male contemporaneo che a mio avviso andrebbe regolamentato per legge per arginare un uso dilagante e a volte indiscriminato dei social.
Il VAR è un espediente utile per fugare gli atavici dubbi legati al calcio nostrano?
Come tutte le novità tecnologiche va ancora oleata e i frutti li vedremo nel lungo periodo. Qualcosa di sicuro è cambiato, dipenderà sempre dall’uso che ne faranno gli arbitri, ma ad occhio credo che già da queste prime giornate qualche decisione può aver modificato l’esito di alcune gare.
Jacopo Volpi come ha iniziato la sua carriera di giornalista sportivo?
E’ una passione che parte da molto lontano, già in quarto liceo ero attivo ad impaginare il Corriere Laziale. Poi collaborazioni con il Tempo e Tuttosport e poi fu Paolo Rosi a portarmi in Rai nel 1980, quella dei Petrucci dei Ciotti e Alfredo Pigna per intenderci. Dopo vari contratti l’assunzione definitiva nel 1986 ed eccomi qui dopo trent’anni. Devo moltissimo alla carta stampata e al suo approccio sull’approfondimento delle news, un bagaglio importante che ho appreso da grandi maestri.
Gli stadi semivuoti, un altro segnale allarmante per il nostro calcio?
Certo non è un bel volano per il nostro calcio, ma è indubbio che i nostri stadi siano poco moderni e la visibilità non sia ottimale. Ci vorrebbero stadi di proprietà delle società altrimenti non ne usciamo, anche perché le società si nutrono dei diritti della pay tv in percentuale molto alta avallando di fatto questo status quo. Il caso Roma è emblematico, se non ci sarà lo stadio nuovo i rischi al ribasso saranno enormi per la società.
I costi di gestione delle società sono lievitati da un lato, e dall’altro le gestioni allegre degli anni passati si sono nettamente ridimensionate. I tempi dei Sensi, Cragnotti, Tanzi e Moratti sono acqua passata e i bilanci sono più sani, è questa l’unica via possibile?
E’ chiaro che i costi di gestione di una società calcistica sono abnormi, basti pensare al ruolo dirompente dei procuratori nel rialzo delle trattative, ma una gestione oculata dei bilanci è imprescindibile nel calcio moderno. Sensi per esempio ha speso fuori controllo per regalare un sogno rimettendoci di tasca propria, oggi questo modello è improponibile.
Per chiudere. Abbiamo discusso dei vari mali del nostro calcio. Qualche antidoto?
Partiamo dalle cose fattibili a breve: innanzitutto dovremmo tornare a un campionato a diciotto squadre, venti sono troppe e il livello è medio-basso, più tempo per la nazionale, e ripartire dai vivai senza i quali la macchina calcio non ripartirà. L’under 21 ha dato segni di vitalità, ma non basta per fare sistema.