Conetta è una delle cinque frazioni di Cona. Provincia di Venezia che qualche passo più in là diventa Padova.
Conetta è anche uno degli esempi più evidenti del fallimento del sistema di integrazione italiano.
Già, perché a Conetta, in un’ex base militare, sono ospitati circa 1300 migranti, più del doppio dei 530 per cui la struttura era attrezzata, più di sei volte il numero degli abitanti della minuscola frazione.
Una situazione potenzialmente esplosiva che ha causato nei mesi passati varie rivolte da parte degli ospiti della struttura, in particolare lo scorso due gennaio a seguito della morte di Sandrine Bakayoko, ragazza ivoriana di 25 anni, ospite del centro di accoglienza.
Una situazione che sembra aver esasperato anche gli abitanti conensi e che ha portato nelle ultime settimane all’ennesima polemica.
“Per ragione di igiene e sanità pubblica è sospeso l’accesso a questo impianto a tutte le persone accolte nel campo base di Cona in attesa di essere sottoposti ai controlli sanitari e vaccinazioni” recita il cartello affisso all’ingresso del campo sportivo di Cona.
La firma in calce è quella dell’ASD Pegolotte, squadra padrona di casa.
Il motivo va cercato nelle richieste dei genitori dei piccoli calciatori iscritti al club di Cona.
Si sarebbe infatti diffusa tra di loro la paura di un contagio in seguito al ricovero di un diciannovenne bengalese per una sospetta meningite, poi smentita.
“Abbiamo ascoltato le rimostranze dei genitori. Ci è stato detto che se non avessimo preso questo provvedimento avrebbero ritirato i loro bambini. Per una piccola società come la nostra sarebbe stato un disastro” ha raccontato Nicola Botton, presidente della società.
“Non vorrei passasse di noi l’immagine di una società razzista. È stata una scelta obbligata e sarò io il primo a a richiamare i ragazzi non appena tutto si sistemerà” ha poi continuato.
A farne le spese in primis è stata lo stesso Pegolotte, militante nella Terza Categoria veneta.
Sei dei profughi ospiti a Conetta sono stati infatti negli scorsi anni tesserati per la squadra del presidente Botton.
In questa stagione, a causa dei trasferimenti di alcuni ragazzi, solo tre militano ancora nel Pegolotte.
O meglio, vi militavano.
“I ragazzi giocano bene e sono integrati nella squadra. Noi abbiamo pagato la loro visita, li abbiamo vestiti, sono diventati nostri giocatori a tutti gli effetti” ha concluso Botton.
La stessa idea avuta da Gino Mez, allenatore e promotore del Campo Cona, squadra di calcio amatoriale composta soltanto da profughi ed iscritta al campionato UISP.
Un’idea che è venuta a Mez guardando i ragazzi che ogni giorno giocavano qua e là nella ex caserma.
L’obiettivo dichiarato era quello di regalare ai ragazzi un momento per sorridere e di dimostrare che differenti nazionalità possono convivere fra loro, dando così un esempio a tutti gli ospiti del campo, spesso divisi al proprio interno fra gruppi anglofoni e francofoni.
“La scelta mi sembra eccessiva ma non voglio creare polemiche. La squadra comunque non si fermerà. Giocheremo le partite in casa dei nostri avversari e continueremo per la nostra strada” è stato il commento di Gino Mez.
Il futuro è incerto ma il disegno è chiaro.
In un contesto difficile, il calcio resta una delle più belle e fruttuose esperienze d’integrazione.
Sarebbe un peccato fermarsi proprio ora.
Smettetela di chiamarli profughi, offendete quelli veri.