In un famoso film di qualche anno fa, Benjamin Button fu protagonista di un’esperienza particolare: visse una vita al contrario, ringiovanendo invece di invecchiare. Nella Serie A in corso c’è un curioso caso, per certi versi affine. Il Chievo è vecchio più di ogni altro, ma si è salvato senza grandi patemi, viaggia comodamente a metà classifica con 35 punti (venti in più del Palermo terzultimo) e sembra talvolta una squadra di ragazzini. L’affermazione non è casuale e si può supportare con qualche statistica: l’età media dei clivensi è l’unica in Europa (se si parla dei cinque campionati principali) a superare i 30 anni, e raggiunge quota 31,1. Tanti, tantissimi. Soprattutto se si valuta l’età media della Serie A (26,8) e degli altri tornei (ne parleremo in seguito). Il modello Chievo non entusiasmerà mai i tifosi e non regalerà grandi fantasie di calciomercato, ma funziona da tantissimi anni e ci regala due spunti di discussione interessanti: la gestione calcistica della società veronese è un esempio replicabile? Quanto conta l’esperienza in un campionato come il nostro? Approfondiamo la questione.
Rispondere alla prima domanda è piuttosto semplice: il Chievo è un’eccezione da più punti di vista. Normalmente, una squadra che punta ad una salvezza tranquilla scommette principalmente sulla freschezza dei giovani unita a qualche elemento più esperto, nella speranza che qualcuno esploda e porti in dote delle importanti plusvalenze. Il Chievo, invece, fa leva sulla continuità di un progetto che ha permesso il mantenimento della massima categoria per quindici anni su diciassette. Dal 2001, anno della storica prima promozione in A, ad oggi, i clivensi sono retrocessi solo nella stagione 2006/2007 (furono decisive in negativo le esperienze in Champions ed Europa League, arrivate a seguito dello scandalo Calciopoli), riconquistando un posto al sole dopo un anno di B. La storia del Chievo evidenzia un andamento costante grazie al quale la società ha rischiato raramente di retrocedere, piazzandosi in buona parte dei casi tra le prime 10-12.
La strategia adottata si può riassumere così: la rosa viene puntellata anno dopo anno con pochi innesti mirati e dal basso costo, mentre i profili individuati per la panchina hanno spesso filosofie tecnico-tattiche affini. Il gioco espresso è pragmatico e senza fronzoli, espressione ideale del credo della società che rappresenta.
Ovviamente, la parola chiave è esperienza. Se si osserva la rosa di questa stagione, si notano subito i 37 anni di Sorrentino, Pellissier e Dainelli, i 36 di Gobbi e i 35 di Gamberini. Quindici elementi su venticinque hanno superato i 30 anni, in molti casi ampiamente. Inoltre, i 31,1 anni d’età media vengono spesso superati dall’undici titolare. Per esempio, la formazione schierata sabato scorso contro il Milan (25,3 d’età media con i soli Bacca, Zapata e Sosa sopra i 30), ne aveva 32,6. Se fosse entrato in campo Pellissier, la statistica sarebbe stata ancora più sorprendente. La strategia portata avanti dal Chievo garantisce il mantenimento della categoria ed è senza dubbi un modello molto interessante, ma ha un punto debole: le plusvalenze. Dei giocatori presenti in rosa in questa stagione, gli unici con un potenziale di mercato intrigante sono Lucas Castro (seguito nei mesi scorsi anche dalla Roma), Valter Birsa (capace a gennaio di resistere alle sirene cinesi), Roberto Inglese (nel giro della Nazionale di Ventura) e il giovane Samuel Bastien. Ne consegue che la strategia clivense, ottima per rimanere in Serie A, non porta in dote il perseguimento di obiettivi più ambiziosi attraverso un arricchimento progressivo della rosa.
Una volta appurata l’eccezionalità del caso Chievo, è necessario evidenziare la regola da esso confermata. Come abbiamo detto all’inizio, la squadra allenata da Maran è l’unica dei cinque campionati europei principali (Premier League, Liga spagnola, Bundesliga e Ligue 1) a superare i 30 anni d’età media. Le compagini che guidano le rispettive graduatorie in termini d’anzianità (Stoke City, Deportivo La Coruna, Bayern Monaco e Guingamp) sono infatti ben distanti dai clivensi (gli inglesi arrivano a 29,1, i bavaresi si fermano addirittura a 27,6) e le loro statistiche ci impediscono di portare avanti un confronto credibile sui risultati ottenuti. Le squadre citate confermano in buona parte il trend dei campionati ai quali prendono parte (si va dai 25,6 d’età media della giovanissima Bundesliga ai 27,4 della Premier League), mentre il Chievo è distante dalla media della nostra Serie A (26,8) e stacca nettamente Juventus e Cagliari, seconda e terza per anzianità (28,1 e 28,0), e ancor più il Crotone, squadra più giovane del nostro campionato con i suoi 25. Alla luce di questi elementi, possiamo ora rispondere alla seconda domanda: superare i 30 anni d’età media è un rischio che non corre nessun altro e si preferisce creare un mix equilibrato di gioventù e maturità. Perché l’esperienza conta, ma fino ad un certo punto. A patto che non si creda alla capacità di volare dei mussi, oppure alla storia di Benjamin Button.