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“I vertici dello sport mondiale? Ancora chiusi per le minoranze etniche”

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Neri, asiatici e minoranze etniche? Non c’è dubbio che per questo tipo di categorie esistano ancora oggi delle barriere per riuscire ad entrare ai piani alti del mondo dello sport”. Ad affermare ciò, non un politico in cerca di notorietà o un opinionista televisivo desideroso di rendersi originale bensì Christine Ohuruogu, ex atleta olimpica e pure campionessa nella disciplina dei 400 metri.

Grazie ad uno studio condotto da Sporting Equals, organizzazione che lavora per favorire l’integrazione fra diverse etnie nello sport, infatti, si scopre che solo 26 membri, appartenenti ai cosiddetti board delle federazioni sportive internazionali, su 601 (un misero 4%) corrispondono a quello che gli inglesi chiamano BAME (‘Black, asian and minority ethnic’).

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Restringendo il campo, ci si accorge che unicamente due persone appartenenti al gruppo BAME ricoprono i ruoli di presidenti di federazioni sportive (su un numero totale pari a 68).

“Dialogando con altri atleti, o comunque uomini di sport, mi sono accorta che in molti esprimono preoccupazione e tristezza riguardo al fatto che il nostro mondo sembri ancora piuttosto chiuso nei confronti di coloro che appartengono a quelle che vengono comunemente definite ‘minoranze etniche“, ha affermato la britannica Ohuruogu.

Esponenti di queste ultime, infatti, non sono i benvenuti nei posti di potere dello sport mondiale; non vengono spesso ritenuti validi al pari degli altri e si tratta di una cosa semplicemente ridicola nel 2016. Queste persone sono migliorate tantissimo a livello di competenza sportiva e hanno fatto passi da gigante enormi tanto quanto gli atleti appartenenti a BAME. Eppure qual è il risultato? Per loro non ci sono posti ai vertici.

In merito alla vicenda, il ministro ombra dello sport in Inghilterra, Rosena Allin-Khan, ha affermato alla BBC Sport che “è necessario incrementare il numero di persone appartenenti a minoranze etniche anche ai piani alti del mondo dello sport. Non bisogna fornire come modelli agli occhi della gente unicamente coloro che appartengono a determinate etnie presenti sulla terra. Si cominci da quegli atleti BAME che sono stati al top nel proprio campo e sono desiderosi di aiutare lo sport anche in un’altra maniera al termine della propria carriera”.

All’interno di questa cerchia, ad esempio, si può trovare la figura di Wasim Khan, primo atleta inglese di origini pakistane a giocare a cricket in Inghilterra a livello professionistico.

Sul tema, ai microfoni della BBC Sport, Khan ha affermato: “C’è ancora un lavoro enorme da fare ma devo dire che, rispetto a quando giocavo io, le cose hanno già iniziato a migliorare in maniera considerevole. Ai miei tempi e purtroppo è un’accusa che sento spesso muovere ancora oggi, si diceva che all’interno della categoria BAME non ci fosse abbastanza talento e sufficiente capacità manageriale per ricoprire ruoli di valore nel mondo dello sport. Per me fu difficile perché dovetti invertire la rotta per primo ma vedo che attualmente, per fortuna, qualcosa è migliorato”.

In effetti, dal punto di vista puramente agonistico, per la prima volta nella storia, l’Inghilterra oggi ha nella propria nazionale di cricket quattro atleti musulmani: Moeen Ali, Adil Rashid, Haseeb Hameed e Zafar Ansari.

L’augurio è che sia solo l’inizio di un nuovo corso; tra stadi e vertici federali, infatti, di barriere proprio non se ne sente il bisogno.

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