Quando gli infortuni sembrano non dare tregua.
La stagione tennistica del 2015 si è conclusa, tutti i giocatori sono pronti a voltare pagina e a iniziare un nuovo anno lungo e fisicamente spossante. Ma se dovessimo ricordare i momenti chiave di questo 2015 ormai alle spalle, sicuramente ci verrebbero in mente le esultanze trionfali di Djokovic sui suoi avversari, la gioia di Flavia Pennetta col trofeo dello Us Open tra le mani, la disperazione di Serena Williams, eliminata da Robertina Vinci contro ogni pronostico. E ancora, gli spettacolari colpi di Federer e la delusione sul volto di Nadal dopo l’ennesima sconfitta, le mani al cielo di Wawrinka dopo la vittoria del Roland Garros e le lacrime di Murray per aver guidato la sua Gran Bretagna ad una storica conquista della Coppa Davis.
Eppure non sono solo questi i momenti di cui vale la pena raccontare. Perché mentre Murray issava al cielo l’insalatiera e veniva inneggiato da una nazione intera, dall’altra parte del mondo si disputava la finale delle Challenger Tour Finals. A San Paolo, in Brasile, si affrontavano due giocatori poco noti, Daniel Munoz de la Nava e Inigo Cervantes, in lotta per un titolo altrettanto poco conosciuto.
Infatti le Challenger Tour Finals sono un torneo organizzato da appena cinque anni e interessano prettamente i tennisti che giocano nel Challenger Tour, ossia il circuito minore dell’ATP, nel quale si affrontano o i giovanissimi giocatori che devono ancora farsi le ossa prime, oppure quei tennisti che nella loro carriera non sono riusciti ad “esplodere”. Tennisti che quindi devono fare a meno dei grandi palcoscenici mondiali e accontentarsi di tornei dal montepremi molto più basso.
Visto in questo modo, sembrerebbe che il circuito Challenger sia il luogo adatto per i giocatori incompiuti, incapaci di raggiungere veramente il successo. Eppure, la finale di San Paolo non è stata meno toccante e densa di significato. Perchè ad imporsi è stato l’iberico Inigo Cervantes, un tennista tutto grinta e carattere che però ne ha dovute passare di tutti i colori. Per questo, la sua storia vale la pena di essere raccontata.
Malgrado il cognome richiami al ben più noto Miguel de Cervantes, autore del celeberrimo Don Chisciotte e simbolo della vera cultura spagnola, Inigo nasce a Irùn, Paesi Baschi, una terra da sempre poco legata alle tradizioni castigliane. Qui il giovane Cervantes si divide tra la pelota, lo sport nazionale basco, e il pallone da calcio, visto che il padre era portiere di diverse squadre spagnole, tra cui il Real Sociedad e il Real Betis.
Ma è guardando giocare Marcelo Rios e Lleyton Hewitt – i suoi due idoli – che si innamora perdutamente del tennis e comincia a giocare con la racchetta in mano, dapprima come un divertimento, poi come un sogno da realizzare. Decide di lasciare la sua cittadina e si trasferisce prima a Barcellona e poi ad Alicante, dove segue una scuola tennis che lo plasma come giocatore completo.
Dotato di un ottimo rovescio a due mani e di un solido servizio, Inigo diventa un giocatore ostico, capace di reggere a fondo campo scambi lunghi ed estenuanti. Esteticamente il suo gioco è tutt’altro che elegante, ma risulta molto efficace e fastidioso per gli avversari. Proprio per questo, nonostante abbia iniziato la scuola tennis a soli 14 anni, diventa presto un professionista e inizia a scalare posizioni. E’ evidente che non sia dotato di un talento cristallino, ma sicuramente ha tutte le carte in tavola per entrare tra i 100 giocatori più forti al mondo.
E nel 2012 il suo sogno si era quasi realizzato. Infatti, Cervantes, appena ventiduenne, raggiunge la 130esima posizione mondiale, grazie ad un incredibile exploit ottenuto nel tempio sacro del tennis, a Wimbledon. Qui non solo riesce a superare le qualificazioni, ma accede anche al secondo turno battendo il nostro Flavio Cipolla, prima di arrendersi all’esperto russo Mikhail Youzhny.
Peccato che nel settembre dello stesso anno inizierà un autentico calvario. Dapprima accusa dei forti dolori al gomito, poi si infortuna ad entrambe le anche, per poi avere problemi al tendine d’Achille. Morale della favola? 4 operazioni in 8 mesi e quasi 2 anni lontano dai campi da gioco, passando oltre due mesi su una sedia a rotelle.
La fiducia nei suoi mezzi subisce un durissimo contraccolpo. Non potendo partecipare a nessun torneo, Inigo perde tantissime posizioni nel ranking mondiale, ritrovandosi oltre la millesima posizione. E quando torna in campo non riesce ad esprimere il suo gioco migliore, tennisti che prima annichiliva ora gli infliggono sonore sconfitte.
In questo periodo così difficile Cervantes le prova tutte, si allena come un ossesso e si affida a vari mental coach, senza però ottenere nessun risultato. Ma alla fine, a sostenerlo e infondergli fiducia ci riescono i suoi familiari e soprattutto Javier Ferrer – fratello del ben più noto David -, il suo coach storico, l’unico che davvero riesca a rivitalizzarlo.
Così il 2015 diventa l’anno che non ti aspetti. Iniziato l’anno senza nessuna pretesa, Inigo si mostra molto umile e si iscrive a tornei Futures e del circuito Challenger, presentandosi spesso come l’outsider di turno. Ma è proprio in queste manifestazioni che è autore di prestazioni da incorniciare. Nel giro di qualche mese passa dallo status di “giocatore finito” a quello di “tennista in ascesa”, vincendo i tornei di Ostrava, Vicenza e Marburg, fino a qualificarsi per le Challenger Tour Finals.
E anche in questo torneo non si fa sfuggire l’occasione e mette le mani sul trofeo. Batte in un match durissimo il connazionale Munoz de le Nava e si proietta alla posizione 72 del ranking mondiale. La gioia è grande, e Inigo decide di manifestarla a modo suo: una scritta in basco durante la premiazione, “Zuentzat amona eta izeba”, ossia “per voi, nonna e zia”. Segno di un forte legame con la famiglia che l’ha sempre sostenuto, e con la terra natia che l’ha cresciuto.
Che dire? Ora Inigo Cervantes ha ventisei anni, è un giocatore completo che si trova stabilmente tra i primi tennisti al mondo. Ha realizzato i suoi obiettivi, è felice, ma ne ha passate tante. Un po’ come il Don Chisciotte di Cervantes, ha dovuto errare in lungo e in largo per trovare sé stesso. I suoi nemici non erano mulini a vento con le fattezze dei giganti, ma i fantasmi che si portava dietro dopo i tanti infortuni. Ma, come i giganti, anche i fantasmi che lo accompagnavano sono apparsi per quello che erano, inconsistenti. Una volta scrollati di dosso, Inigo Cervantes ha vinto la sua sfida.