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I Mental Coach nel Calcio: Chi sono e che cosa fanno

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Da Andrea Ranocchia ad Andrea Petagna, da Leonardo Bonucci a Riccardo Saponara, da Mattia De Sciglio ad Alberto Paloschi a Leonardo Pavoletti. Calciatori decisamente importanti, grazie ai quali qualunque club potrebbe ambire ai primi posti della classifica, accumunati però dalla volontà – perché di questo si tratta – di voler “allenare” la mente oltre che il fisico. Affidandosi ad un mental coach. Tra i casi più recenti c’è proprio quello di Ranocchia, che ammette: “Da alcuni mesi vado in un centro in cui mi seguono dal punto di vista fisico e psicologico. È lì che tiro di boxe, per esempio. E poi c’è una persona con cui parlo. Non è uno psicologo. È laureato in fisioterapia ma è anche esperto di mental training”. Il riferimento è a un programma articolato di allenamento psicologico, costituito da differenti aree tematiche selezionate in base alla specificità della disciplina sportiva, alle finalità da raggiungere e alle caratteristiche della personalità del singolo atleta. Una “tabella” che il difensore dell’Inter sta portando avanti grazie all’aiuto di Stefano Tirelli, ideatore e fondatore delle tecniche complementari sportive di cui è anche docente presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

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Ed è stato lo stesso Tirelli – che ha lavorato su David Beckham, Steven Gerrard, John Terry, Michael Essien – a ricordare l’incipit del lavoro svolto, invece, con l’esterno del Milan De Sciglio: “Al nostro primo incontro Mattia aveva gli occhi spenti. Non era depresso, ma a un passo dalla depressione sì. Soffriva per le critiche dei tifosi e della stampa, era tormentato dagli infortuni. Si sentiva in colpa se usciva la sera per una pizza con la fidanzata”. E ancora: “Suo padre Luca mi disse: A noi genitori il Mattia calciatore interessa relativamente. A noi preme il Mattia figlio, gli restituisca il sorriso e saremo contenti”. Da un difensore della nazionale ad un altro, Bonucci, che per sette anni ha lavorato con il mental coach Alberto Ferrarini, il quale – fin dai tempi del Treviso – gli faceva mangiare caramelle all’aglio “come i soldati dell’antichità”. Con una convinzione: “Voglio che la maglia di Leo a fine partita sia sporca di sudore, fango, erba. E sangue, se serve”.

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Occorre precisare che, fortunatamente, stiamo parlando di problematiche risolvibili: sempre più spesso, infatti, i calciatori cercano supporto soltanto per rendere di più sul terreno di gioco, come spiega Roberto Civitarese – autore del libro “Gioco di testa”, un vero e proprio manuale su come allenare la mente per primeggiare nel calcio – che lavora con numerosi giocatori della massima serie (tra i quali i già citati Paloschi, Saponara, Petagna e Pavoletti): “Fissiamo un obiettivo sull’atleta e ci concentriamo su ciò che bisogna cambiare per ottenerlo. Il calcio è anche una questione di testa, oltre che di piedi e muscoli.”. E, in merito all’importanza della motivazione, si rifà ad una frase che era solito ripetere Arrigo Sacchi: “Una 500 con il serbatoio pieno batterà sempre una Ferrari senza una goccia di benzina”.

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