«2440, e non posso dire di più…». Così diceva Mauro Vignolo, quando il palaghiaccio Cotta Morandini registrava il tutto esaurito. Erano i tempi dell’A2, i biglietti finivano in fretta, e il movimento dell’hockey su ghiaccio in Val Pellice era una passione comune dal sapore storico. Prima del palazzetto costruito per le Olimpiadi invernali di Torino 2006, c’era il Filatoio, la casa per eccellenza della Valpe fino a quando l’alluvione se l’è portata via in due mandate: nel 1977 e nel 2000, con un cedimento della copertura dopo l’abbattimento di un pilastro, con conseguenze letali per sette persone tra cui un giocatore, Mario Manfroi. Oggi, quei 2440 e non posso dire di più si sono ritrovati su Facebook, per raccogliere la passione persa per il Valpellice, e al gruppo virtuale si è sviluppata in parallelo nella realtà una nuova Società Cooperativa: l’HCV Filatoio 2440. Presente (HC Valpellice), passato (Filatoio) e futuro (i ritrovati 2440…).
L’incontro con Massimo Sainato, esperto di marketing tra gli artefici della nuova società e fondatore del portale totoforum.it, è un’intervista dai toni biografici. Non è solo la personale passione per l’hockey, nata all’età di dieci anni col primo canadese nella storia della Valpe come cognato, è il racconto di un’intera valle e del suo fedele rapporto con questo sport, il bisogno di ripensare al passato ma per ricostruire il presente dopo il blackout finale della scorsa estate: «un gruppo di tifosi, sia storici che più giovani, ha unito tutto il malumore e il dispiacere dell’ambiente per il fatto che non ci sarebbe stata attività agonistica». È l’agosto del 2016, e la situazione attorno alla Valpe è allarmante, la squadra – come poi accadrà – rischia di non partecipare a nessun campionato, ma l’intera popolazione si accomuna per prendere in mano la situazione: «un gruppo di persone capitanato da Fabrizio Gatti (imprenditore, già presidente della Valpe, ndr) capace di trovare in tempi brevissimi anche una serie di aziende disposte a sposare il progetto, propone un tentativo di salvataggio della squadra, coprendo 150000€ di passività e con un ingresso nell’onere gestionale dell’imminente stagione. Questa cosa non andò in porto, la proprietà ritenne di dover fare una controproposta, io nel mio blog supportai questa iniziativa, ma la società si oppose e finì tutto in un nulla di fatto».
A quel punto vi siete ritrovati senza squadra, cosa è successo?
«Non è finita lì, si era creato un ulteriore sgomento nella comunità hockeystica, c’era un clima di tensione, e Christian Lasagno, attivo sul gruppo Facebook La Valpe siamo noi, 2440…, propose un incontro a Gatti e soci, tenutosi al Filatoio, l’ex palazzetto della Valpe. Qui io feci da moderatore, ricordando a tutti i presenti come questa situazione in realtà fosse un deja-vù già accaduto tante volte, vuoi per alluvioni, vuoi per altri momenti difficili, risalenti anche agli anni ’50. Il mio messaggio voleva essere quello di sdrammatizzare e di enfatizzare come un anno di stop, creando una nuova realtà, forse fosse il male minore e la soluzione migliore per affrontare un’agonia da cui la Valpe non stava più uscendo. Serviva quasi sperare che la società fallisse quanto prima, per partire da zero con un progetto e una società sana. Fabrizio Gatti decise di andare avanti per la sua strada e continuare la nuova avventura, ergo, creare una nuova società: la novità, due squadre in valle. Ad Ottobre emerge questo scenario dove la società esistente andava avanti con la sua politica e un forte contrasto con direi l’80% degli appassionati, e si ventila la proposta di una nuova società».
Come si è creato il nuovo progetto?
«Io ho presentato una proposta che mi sembrava la soluzione migliore, davanti ad un dato di fatto: non esistevano più aziende o singole persone con grandi possibilità economiche. In un contesto dove il vero valore della Val Pellice (non dico unico perché a Milano e in Alto Adige ci sono grandi realtà) sono le persone: l’hockey è sempre stato vissuto come un’identificazione col territorio molto forte, a prescindere dall’attività agonistica (mi ricordo ancora delle sconfitte per 17-1 con la temperatura sottozero, ma non importava…). Questo ha sempre reso unico il fenomeno Valpe in questa valle: una storia poco vincente rispetto al movimento che ha sempre generato attorno a sé. In A2, subito dopo le Olimpiadi, in 2440 che seguivano un campionato tutto sommato mediocre».
Avete sentito il bisogno di ritrovare la passione…
«Questo valore andava valorizzato, mentre la dirigenza rischiava di disperderlo questo valore, alla Finale scudetto 2013/2014 (contro Asiago, ndr) non si registrò mai un tutto esaurito. I 2440 non c’erano più, in 5 anni si era disperso un sentimento collettivo, la società era costituita da 30 soci, e non da 300 tifosi che magari hanno speso 300€ di abbonamento. La soluzione è diventata una sola: la Società Cooperativa. L’azionariato popolare si è rivelata la migliore scelta per non fare gli errori del passato».
Come pensate di gestire la nuova Società Cooperativa?
«Proponiamo la possibilità di gestire i piani successivi, approvare investimenti, prendere le decisioni più importanti ed esprimere il proprio voto, seguendo – in piccolo – il modello Barcellona, per esprimere un sentimento di appartenenza per un tratto distintivo del nostro territorio».
Adesso che cosa vi aspetta?
«Cerchiamo il supporto della forte comunità virtuale su Facebook, che in questi mesi ha tenuto viva la passione in una stagione senza attività sportiva, ma ora bisogna vedere in quanti vogliono diventare soci, con una quota di partenza di 25€. Il primo obiettivo, fissato per il 31 gennaio, è presentare la nuova società cooperativa al pubblico, che potrà associarsi nei mesi successivi, per arrivare dopo il 30 giugno alla prima assemblea, in cui eleggere il Presidente (che non sarà Fabrizio Gatti) e un Consiglio Direttivo. Si dovrà quindi definire l’assetto dirigenziale per i primi anni. Questa cooperativa ora dovrà essere brava a riportare gli spettatori allo stadio, per fargli supportare una società solida, che crede nel patrimonio comune dell’hockey.
Dal punto di vista sportivo, quali sono i primi obiettivi?
«Speriamo di disputare un campionato competitivo non appena possibile, ma prima di aprile-maggio non è ancora chiaro il quadro futuro, non solo qui, ma nell’intero panorama hockeystico. Qui in valle giustamente le famiglie hanno tesserato i loro figli con la Valpe, tra qualche mese speriamo di dare l’opportunità di scegliere il nostro eventuale progetto, laddove il regolamento lo consenta in funzione di parametri, svincoli ed età. C’è da dire che oggi l’attività sportiva giovanile della Valpe è gestita da alcuni genitori che allo stesso modo fanno parte del progetto embrionale dell’HCV Filatoio».
Quali sono le tue considerazioni sull’attuale momento dell’hockey italiano?
«Ho iniziato a conoscere l’hockey nel 1975, dopo quarant’anni, con acquisite esperienze nel marketing sportivo, posso dirti che non vedo un grande cambiamento rispetto a quegli anni. C’è anche un limite geografico, la cultura del freddo e del ghiaccio viene fatta solo con le piste di pattinaggio nei centri commerciali per quindici giorni. In contesti dove l’hockey non è sport nazionale, come la Germania, c’è un campionato (DEL, ndr) giocato su tutto il territorio nazionale, stessa cosa in Francia, dove giocano anche sul mare. L’hockey qui non ha avuto uno sviluppo con una forte cultura dietro, sento ancora gli stessi discorsi del 1975, fra incertezze e regole che cambiano. In più non c’è una rete televisiva che trasmette questo sport, non se ne parla da nessuna parte se non in Alto Adige. A Torino, ad esempio, la Valpe non è riuscita a portare l’hockey, dove il Palavela (impianto costruito per le Olimpiadi, ndr) non è adibito per questo sport».
Tra le ormai consolidate difficoltà dell’hockey italiano, in Val Pellice c’è però un’intera comunità stretta attorno al patrimonio comune, con una nuova avventura da intraprendere: l’HCV Filatoio 2440.
Nota: La foto di copertina, concessa da Daniele Arghittu, illustra gli Ultras Valpe al vecchio Filatoio. Il gruppo organizzato ha disertato il palazzetto negli ultimi anni.