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Hamilton: malgrado il record, il “più veloce di sempre” resta Senna

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A due lunghezze da Ayrton Senna (65) e a cinque dal record di Michael Schumacher (68), con ogni probabilità in questa stagione Lewis Hamilton diventerà il pilota col maggior numero di pole-position nella storia della Formula-1. Lecito a questo punto chiedersi: ma è lui “il più veloce di sempre”?

Osservando i numeri di questa graduatoria col presupposto che per comprenderne l’effettivo valore si deve tener conto del contesto nel quale sono maturati, emerge una realtà diversa dall’apparenza: l’inglese della Mercedes a breve primeggerà sì nella forma e il suo nome campeggerà sulla cima di questa particolare statistica, ma non nella sostanza. Che lo vuole inferiore ad Ayrton Senna. A cominciare dal rapporto pole-position/gran premi disputati40.37% contro 33.16% – primo criterio di quest’analisi (l’altro è la tipologia di vetture guidate) che estromette subito dalla contesa Michael Schumacher, 307 presenze per una percentuale del 22.15%.

Ma quindi Senna più veloce di Hamilton solo perché ha corso meno gare? Anche qui non limitiamoci alla superficie. Già perché i due, a oggi, hanno disputato lo stesso numero di stagioni in F1: 11. Senna, dunque, ha fatto meglio pur avendo avuto meno possibilità per stampare il miglior tempo in qualifica. Questo perché dal 1984 al 1994, il calendario del mondiale prevedeva 16 gran premi. Un tetto mai imposto a Hamilton, che viaggia a una media di 19 appuntamenti annuali, oscillanti tra i 17 dell’esordio (2007) e i 21 del 2016. Per capire meglio queste cifre, basti pensare che nel prossimo Gran Premio di Spagna tra i due ci saranno trentadue gare di differenza. In pratica, è come se Hamilton, nello stesso numero di stagioni di Senna, ne avesse corse due di più con il format di quest’ultimo. Evidenti quindi le sue maggiori chance per scalare la vetta dei migliori sulla griglia, analoghe a quelle della squadra che vince un campionato con venti partecipanti con più punti rispetto a chi se lo è aggiudicato quando erano in diciotto a contenderselo.

Senna si rivela il più bravo anche secondo il parametro del confronto tra i risultati ottenuti e le auto pilotate. Premessa la gavetta prima della McLaren con un anno di Toleman e tre di Lotus, il carioca conquistò 16 pole su 64 partecipazioni con la scuderia di Colin Chapman. Cioè il 25% al volante di una monoposto terza, se non quarta, forza del campionato grazie esclusivamente alle sue performance perché, De Angelis a parte, gli altri due gemelli di casacca (Dumfries e Nakajima) sommarono appena dieci punti.

Hamilton invece, a parte viaggiare in prima classe fin dal primo giorno con sei anni di McLaren e cinque di Mercedes, a Woking – dove ha vinto un titolo (2008) e in tre casi (‘07, ‘10, ‘12) se l’è giocata dimostrando così di avere nella lotta con i rivali una macchina migliore della Lotus di Senna – è scattato davanti a tutti in 26 casi su 110. Una media del 23.63%, vicina a quella del paulista, ma è di nuovo vietato fermarsi ai freddi numeri. Perché Senna in Lotus è stato tre anni. Hamilton in McLaren, sei. Cioè il doppio.

Spostando infine il confronto nei top team, il brasiliano ne esce un’altra volta trionfante. Hamilton, su 80 corse con la Mercedes, è partito al palo 37 volte (46.25%), di cui 32 (52.45%) dal 2014 a oggi cioè da quando, grazie alla motorizzazione ibrida imposta dal nuovo regolamento, le Frecce d’Argento hanno polverizzato la concorrenza: 61 gare, 58 pole-position. Le top car di Senna sono state la McLaren (ma solo dall’88 al ’91) e la Williams del tragico 1994 per soli tre week-end. Bilancio: 47 pole-position su 67 gran premi, vale a dire il 70.14%.

In definitiva, come fin qui illustrato, a parità di situazioni Senna ha sempre fatto meglio di Hamilton. E l’obiezione delle differenti epoche sportive nelle quali hanno vissuto non può essere qui accolta e, anzi, rischia di tramutarsi in un aggravante per il britannico perché negli anni Ottanta e Novanta vi era molta meno elettronica rispetto alla F1 attuale e il pilota doveva compensare con le sue abilità i limiti o le mancanze della vettura.

Ma allora solo per caso Hamilton stabilirà il record di pole-position della storia della F1? Assolutamente no. A parte avere la velocità nell’anagrafe (Lewis…), come Senna alla Lotus anche lui è stato il più sprint in annate dove la McLaren non lottava per il titolo (2009). Nel 2011, fu l’unico a spezzare il monopolio Red Bull. L’anno dopo ha primeggiato tra i magnifici sette partiti almeno una volta in cima al gruppo. Ed è innegabile che sul giro singolo in qualifica sia il migliore della sua generazione perché, a parità di monoposto, ha quasi sempre fatto meglio di chi il team gli ha messo accanto. Anche se era, o sarebbe stato, campione del mondo (Alonso, Button e Rosberg). Solo nel 2014 ha ceduto nel confronto con il compagno di squadra.

Una debolezza che Ayrton Senna da Silva non si è mai concesso per un primato degno della sua leggenda e che s’incastona come l’ultima gemma della sua corona di “più veloce di sempre”.

Classe 1982, una laurea in "Giornalismo" all'università "La Sapienza" di Roma e un libro-inchiesta, "Atto di Dolore", sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, scritto grazie a più di una copertura, fra le quali quella di appassionato di sport: prima arbitro di calcio a undici, poi allenatore di calcio a cinque e podista amatoriale, infine giornalista. Identità che, insieme a quella di "curioso" di storie italiane avvolte dal mistero, quando è davanti allo specchio lo portano a chiedere al suo interlocutore: ma tu, chi sei?

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