Quattro anni fa ho conosciuto la storia di Nicoletta Tinti, avendo modo anche di parlare con lei. Nicoletta è una ballerina di ginnastica ritmica, settima alle olimpiadi di Atlanta del 1996. Un giorno si alza e sente una fitta alla schiena e gli arti inferiori bloccati. La diagnosi è tremenda, una forma di paraplegia che non la farà camminare.
Nicoletta non si arrende e inizia a costruire la sua vita di convivenza con questo nuovo modo di occupare gli spazi e la vita. Fonda una scuola di danza oltre la disabilità. Ho pensato a lei quando ho appreso quanto accaduto a Beatrice Ion. Beatrice è un talento del basket paralimpico in nazionale e gioca a Giulianova. Ha una forma di poliomelite che la costringe sulla sedia a rotelle.
Rumena, da sedici anni vive in Italia, da bimba visto che di anni ne ha 23. Qualche giorno fa è stata aggredita da un uomo che ha rivolto a lei e alla sua famiglia insulti razzisti e ha picchiato il padre. Il tutto perché Beatrice ha riservato un parcheggio disabili. Le ha urlato di tornarsene al suo paese e altre cose irriferibili. Il “problema” è che Beatrice al suo paese c’è già. Ci è praticamente nata, ci ha fatto le scuole, ci gioca e bene per la nazionale.
La sua reazione a questa violenza è stata addolorata ma composta. Le ho accomunate perché mi hanno insegnato entrambe che la vita sta davvero tutta nel modo in cui occupi gli spazi. Come decidi di muoverti, di reagire, di esserci e combattere.
Loro lo fanno rendendo i loro spazi di vita di una dignità lucente. Corrono, sudano, vivono sapendo che ogni giorno è unico e non ce lo restituisce nessuno. Perché se non impariamo a occupare bene gli spazi che la sorte ci lascia in consegna, anche con croci da portare, c’è il rischio che abbiamo sprecato qualcosa di ben più unico che un giorno. Una vita intera.