Il Giro del 1979 poteva, e doveva, essere quello di Moser. Il trentino, ormai ventottenne, venne agevolato dagli organizzatori con l’inserimento nel percorso di ben 4 tappe a cronometro oltre al breve prologo di Firenze. Non lo fu perché un ben più giovane Giuseppe Saronni, novarese, classe 1957, irruppe sulla scena, dopo l’esordio del 1978 in cui pure aveva vinto due tappe terminando quinto nella generale, e fu più forte di lui. Lo batté nella crono di San Marino, partita da Rimini e forse un po’ troppo impegnativa per Moser per via dell’erta finale nella Repubblica del Titano, gli tolse la maglia e la portò a Milano.
Fu il primo Giro che vidi in strada, per una fortuita combinazione. I miei genitori, cui non importava nulla di nulla del ciclismo e dello sport in generale, decisero di passare qualche giorno di vacanza a Venezia e del tutto inconsapevolmente prenotarono per il terzo week end di maggio, la domenica della storica cronometro sulle acque, lungo ponti e passerelle che attraversavano i canali di Venezia. Per me, avrei compiuto 14 anni a luglio, fu una festa. Certo non potei assistere al passaggio di tutti i corridori perché mia madre volle comunque onorare il programma delle visite culturali che aveva predisposto per quel giorno, ottenni però il permesso di assistere sull’angolo di una calle, non ricordo quale, al transito dei migliori, e li vidi tutti da vicino. Attendevo in particolar modo il mio idolo Moser, con lui Saronni, e Contini, Visentini, Beccia e tanti altri…Moser vinse quella storica tappa e io fui ancora più contento.
Nel 1980 disputò per la prima volta il Giro un altro gigante, Bernard Hinault, “ Il Tasso”, bretone classe 1954. Vinse con quasi sei minuti su Panizza. Tornò altre due volte, nel 1982 e nel 1985 vincendo ancora. Furono gli unici tre Giri che corse in 12 anni di carriera tra i professionisti, sulle strade italiane nessuno fu mai in grado di batterlo in classifica generale. Il 1981 era stato l’anno di Giovanni Battaglin, nel 1983 c’era stato il bis di Saronni.
Nel 1984 Moser aveva 33 anni, e sapeva che forse non avrebbe avuto altre occasioni. Vinse il prologo a Luca ma cedette la maglia il giorno dopo in occasione della cronometro a squadre al leader della Renault, Laurent Fignon, che la tenne fino alla quinta, quando sulla salita del Blockhaus sulla Majella Moser la riprese in una tappa vinta da Moreno Argentin. Il 5 giugno, giorno della diciottesima tappa, da Merano a Lecco, Moser è sempre in rosa, ma in programma c’è lo Stelvio, il tempo però è brutto e lo storico patron del Giro, Vincenzo Torriani, decide di non farlo affrontare ai corridori, Fignon non ci sta, accusa apertamente l’organizzazione di voler favorire Moser, che difende il primato. L’otto giugno però, in occasione della ventesima tappa Fignon attacca sulle Dolomiti, vince sul traguardo di Arabba staccando Moser e prendendo la testa della classifica con un minuto e 21 secondi di vantaggio sul trentino. Mancano due tappe, la Arabba – Treviso è per velocisti, la vince Bontempi senza nessun cambiamento in classifica. Domenica 10 a Verona arriva una cronometro di 42 chilometri. Non sono in molti a credere che Moser possa recuperare 1’21” a Fignon che oltretutto è nove anni più giovane di lui. Ma il campione trentino si trasforma in locomotiva, stacca il francese di 2 minuti e 24 secondi e conquista finalmente il Giro con 1′ 03” di vantaggio. Fignon si rifarà a luglio, vincendo il suo secondo Tour consecutivo.
Dopo il terzo successo di Hinault nel 1985 nel 1986 vince Roberto Visentini davanti a Saronni e Moser, mentre nel 1987 è il turno dell’irlandese Stephen Roche. Il Giro 1988 ha un posto importante nella storia per due motivi: lo vince lo statunitense Andrew Hampsten, nato a Columbus nel 1962 che diventa il primo non europeo a vincere il Giro. Il secondo motivo è la quattordicesima tappa, da Chiesa Valmalenco a Bormio, con la scalata del Passo Gavia su cui gli organizzatori decidono di transitare nonostante abbia nevicato nella notte. Proprio mentre i corridori affrontano la salita la neve riprende a scendere: l’olandese Van der Velde scollina per primo seguito da Breukink e Hampsten, ma sarà costretto a fermarsi in discesa a causa di un principio di congelamento, arriverà al traguardo staccato di tre quarti d’ora. Tante altre sono le vittime illustri: il francese Bernard, Visentini, Rominger, tutti pretendenti al successo finale perdono decine di minuti. Breuknik vince la tappa, Hampsten, secondo, prende la maglia e la porterà a Milano. Quella giornata sul Gavia entra di diritto nella leggenda del ciclismo.
Nel 1989 Laurent Fignon si prende la rivincita, arrivando a Milano con 1’15” su Giupponi. Il francese correrà fino al 1993, vincendo anche due Sanremo, andrà poi ad aggiungersi alla lunga lista dei campioni sfortunati: un tumore allo stomaco se lo porterà via nel 2010 a soli cinquant’anni. Il primo giugno a Mira vince la tappa Mario Cipollini, il 10 a Prato Gianni Bugno, sono i primi successi al Giro di due grandi. Bugno vincerà il suo Giro l’anno seguente, in maglia dalla prima all’ultima tappa, Cipollini, velocista puro e dunque non interessato alla classifica generale, di Giri ne correrà quattordici vincendo 42 tappe e tre volte la classifica a punti. Nel 2002 , suo anno migliore arriveranno sei tappe al Giro, tre alla Vuelta, la Sanremo e il Mondiale.
Nel 1991 la spunta Franco Chioccioli, nel 1992 arriva sulla scena un altro enorme campione, lo spagnolo Miguel Indurain, classe 1964. Vince nel 1992 e nel 1993, dal 1991 al 1995 conquista cinque Tour consecutivi. Un Mondiale a cronometro e un’Olimpiade, sempre a cronometro, completano il suo palmarès. Curiosamente non riuscirà mai a vincere in casa: disputa la Vuelta otto volte con ben quattro ritiri, solo nel 1991 sarà competitivo giungendo secondo.
Nel 1994 Evgenij Berzin è il primo russo a vincere il Giro, imitato nel 1996 da Pavel Tonkov, nel ’95 si era imposto lo svizzero Tony Rominger. Nel 1997 inizierà una serie di successi italiani che durerà undici anni, fino al 2007. Il primo nome è quello di Ivan Gotti. Nel 1998 toccherà a un piccolo grande uomo che pochi anni dopo andrà purtroppo ad aggiungersi alla triste lista dei campioni sfortunati che ora pedalano in cielo: Marco Pantani. Lo ricorderemo la prossima volta