L’avventura del Giro d’Italia riprese, terminata la Seconda Guerra Mondiale, il 15 giugno del 1946, con una tappa che andò da Milano a Torino e 79 corridori iscritti. Quella che partirà venerdì prossimo da Alghero sarà la settantaduesima edizione consecutiva della corsa rosa senza più alcuna interruzione. In quel Giro del ’46 erano al via sia Gino Bartali che Fausto Coppi, e furono loro a lottare per la vittoria: vinse il più anziano, Bartali che precedette il rivale di soli 47 secondi, il terzo era staccato di oltre un quarto d’ora. Fu un giro di rinascita che doveva portare attraverso l’Italia l’idea della ripresa dopo gli orrori della guerra. Si scelse di andare a Trieste, anche se certo non era ancora chiaro se quella città sarebbe rimasta Italia, e un gruppo di attivisti anti italiani che la voleva jugoslava attese i corridori nei pressi del paese di Piers e li attaccò. La Venezia Giulia Police Force che scortava la corsa, un corpo di polizia specifico per quel territorio i cui ufficiali superiori erano tutti inglesi e americani, reagì immediatamente e ci furono scontri a fuoco. La tappa venne neutralizzata, ma alcuni corridori vollero comunque raggiungere la sede di arrivo, l’ippodromo Montebello di Trieste, e capeggiati dal corridore di casa Giordano Cottur lo fecero a bordo di automezzi: i triestini, presenti in massa sulle tribune di Montebello, li acclamarono a lungo.
Nel 1947 ci fu ancora una sfida tra Coppi e Bartali, stavolta prevalse Fausto con un vantaggio di un minuto e 43”. Nel 1948 vinse Fiorenzo Magni, fu l’anno in cui Gino Bartali, staccato al Giro, vinse a 34 anni il Tour contribuendo ad evitare lo scoppio di una guerra civile in Italia dopo l’attentato a Togliatti. Negli anni successivi vinsero ancora tre volte Coppi (’49, ’52 e ’53) e una Magni (’51) mentre nel 1950 ci fu la prima vittoria di uno straniero al Giro: ci riuscì lo svizzero Hugo Koblet, campione zurighese che seppe vincere anche il Tour nel 1951, dalla vita breve e sfortunata, morì a soli 39 anni nel 1964 schiantandosi contro un albero in aperta campagna con la sua Alfa Romeo, l’assenza di frenata fece pensare a un suicidio.
Nel 1954 un altro elvetico portò all’estero il trofeo del Giro, Carlo Clerici, figlio di un emigrante italiano. Era un gregario di Koblet, ma durante la sesta tappa, da Napoli a L’Aquila guadagnò mezz’ora grazie a una fuga bidone che il gruppo sottovalutò, e riuscì poi a portare la maglia rosa a Milano con 24 minuti di vantaggio sul suo capitano. Magni chiuse un’epoca di grandissimi vincendo per la terza volta nel 1955 davanti a Coppi, poi fu tempo di nomi nuovi: Gaul, lussemburghese, Nencini, Bandini, il mitico Jacques Anquetil nel 1960, primo francese a vincere il Giro dopo che diversi italiani avevano fatto lo stesso al Tour, Pambianco nel ’61, due volte Balmamion nel ’62 e 63‘. Ancora Anquetil nel 1964 e poi fu il turno di una generazione ancora nuova: vinsero nell’ordine dal 1965 tre italiani destinati a restare nella storia del ciclismo: Vittorio Adorni, Gianni Motta e Felice Gimondi, e nel 1968 arrivò il primo Giro del “Cannibale”: Eddy Merckx. Nato in Belgio, nelle Fiandre, il 17 giugno 1945, contenderà per sempre, e a mio avviso senza che si possa scegliere un vincitore, a Fausto Coppi la palma del più grande di sempre. Certo Eddy ha vinto più di Fausto: cinque Giri, cinque Tour, una Vuelta, tutte le classiche monumento almeno due volte (Fiandre e Lombardia), tre la Roubaix, cinque la Liegi e sette la Sanremo, un Mondiale dilettanti e tre tra i professionisti, oltre a centinaia e centinaia di corse di ogni tipo in strada e in pista, ma Fausto è rimasto fermo per via della guerra praticamente per sei anni, dal giugno del ’40 a quello del ’46 quando era nel pieno dell’età, e ha vissuto in tempi in cui era più complicato spostarsi per andare a correre nelle varie zone d’Europa. Negli anni delle vittorie di Merckx, dal 1968 al ’74, riuscirono a vincere il Giro anche altri due corridori.
Felice Gimondi ce la fece nel 1969, il Cannibale era stato squalificato per una mai ben chiarita storia di doping a Savona dopo la sedicesima tappa. Era stato un Giro tragico: a Terracina una tribuna all’arrivo della settima tappa era crollata per il sovraffollamento mentre Merckx tagliava il traguardo da vincitore, e un bambino di undici anni era morto, quarantotto furono i feriti, tra cui alcuni ciclisti. Invece nel 1971 Merckx non venne e abbastanza a sorpresa vinse lo svedese Gosta Pettersson, specialista della cronometro a squadre, prova in cui era stato tre volte campione del mondo col quartetto svedese composto interamente dai fratelli Pettersson, Goste appunto, Sture, Erik e Tomas. E’ da questi anni che i miei ricordi diventano diretti, sia pure attraverso la televisione e la voce dell’indimenticabile Adriano de Zan, nei pomeriggi di maggio dopo la scuola, mentre alle vacanze manca un mese il Giro e il ciclismo entrano nella mia sfera di interessi. Il primo ricordo in assoluto ha anche una data precisa: 19 marzo 1970 la Milano – Sanremo di Michele Dancelli. Avrei compiuto 5 anni qualche mese dopo.
Il 1975 fu l’anno di Fausto Bertoglio, mentre nel 1976 ci fu l’ultimo acuto, il terzo, di Felice Gimondi. Nel 1977 tornò a vincere un belga, Michel Pollentier, ma sul podio, secondo, salì per la prima volta Francesco Moser, trentino classe 1951, Giuseppe Saronni, più giovane di 6 anni, sarebbe comparso sulla scena del Giro l’anno dopo, ma ne parleremo la prossima volta…