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Giorgio Ferrini, granata per sempre

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Il 2022 coincide con il centenario dalla nascita di Maestrelli. Avrebbe dovuto partecipare alla trasferta di Lisbona con il Grande Torino, ma per un errore della segreteria romanista -da calciatore vestì anche la casacca giallorossa- non fece in tempo ad ottenere i documenti per l’espatrio (come riportò il Corriere dello Sport nel settembre 2014, quando si spense la vedova dell’ex tecnico biancoceleste).

Masino” se ne andò il 2 dicembre 1976, qualche settimana dopo Giorgio Ferrini: ovvero il recordman di presenze in maglia torinista (566), con il quale sfiorò uno scudetto (1972) e festeggiò due coccarde tricolori. Scrive Franco Ossola Junior nel volume ‘I campioni che hanno fatto grande il Torino’: “In merito, per molti è a Ferrini che, nella più che centenaria storia granata, va ascritta la palma simbolica di ‘capitano dei capitani’, più ancora che a Valentino. Sì, Mazzola gli può stare alla pari; anzi lo supera come classe assoluta, ma il suo Grande Torino vinceva sempre ed era facile stargli a fianco, guidarlo, ergersi a suo condottiero. Il Torino che Ferrini frequenterà per ben sedici stagioni raramente è stato vincente, il più delle volte ha tribolato, ha trovato sempre strade irte per stare a galla. Lui è il capitano della sofferenza, non del tripudio; dell’orgoglio da riconquistare, non dell’esercizio del potere; della dignità da riportare all’onore del mondo”.

Nato a Trieste il 18 agosto 1939, arrivò a Torino nel 1959, dopo che i granata erano scesi per la prima volta nel torneo cadetto: nell’esordio a San Benedetto del Tronto giocò finta ala, con l’11 sulle spalle, ma il suo ruolo è a centrocampo e dalla gara successiva iniziò ad indossare la numero 8. L’ultima partita nella massima serie è datata 18 maggio 1975, contro il Cagliari. E di fronte ai rossoblù aveva debuttato Pulici: negli allenamenti Ferrini marcava duro Paolino, il quale una volta si ribellò ai trattamenti della bandiera granata e gli rifilò una gomitata. La risposta del capitano fu: <<Adesso sì che sei del Toro>>.

Giorgio si ritirò nel 1975, quando lasciarono simboli avanti con gli anni. Per il nuovo corso di Gigi Radice vi era bisogno di forze fresche per il pressing all’olandese, ma il cuore non si abbandona e così divenne l’allenatore in seconda. In un modo o nell’altro, partecipò a quello scudetto arrivato ventisette anni dopo la tragedia di Superga. Quel 16 maggio 1976 gli venne addirittura offerto di scendere in campo negli ultimi minuti, ma lui rifiutò: aveva sempre sudato, faticato per guadagnare quel che ha ottenuto, non apparteneva al suo modi di intendere la vita. Si spense l’8 novembre di quarantasei anni fa. Omar Sivori apprese della scomparsa del vecchio avversario durante in un’intervista televisiva e scoppiò in un pianto a dirotto (come ha riportato Fabrizio Turco nel volume ‘Il Toro sono io. Vita e gol di Paolo Pulici’). Quando venne inaugurato il nuovo Filadelfia Tuttosport uscì in prima pagina con un’immagine di alcuni giocatori simbolo della storia granata e con il titolo “Ci sono tutti”: non poteva mancare Giorgio Ferrini, l’unico che in quella foto si vedeva con la fascia al braccio. Negli ultimi atti di Euro ’68 giocò la semifinale e la prima finale.

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