Gigi Apolloni: “Fortunato a giocare nel Grande Parma. Che amarezza USA ’94”

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Luigi, detto ‘Gigi’, Apolloni nasce a Frascati il 2 maggio del 1967. A soli vent’anni entra a far parte della prima squadra del Parma e per tredici stagioni difende con orgoglio i colori dei gialloblù. Vive tutta l’epoca d’oro del Parma di Tanzi, da Nevio Scala a Malesani, alzando coppe nazionali e internazionali per un totale di sette trofei vinti. Chiude la carriera da calciatore a Verona nel 2001, decidendo in seguito di intraprendere il percorso come allenatore. Modena, Grosseto, Gubbio, Reggiana, Gorica: tante tappe prima di risposare la causa parmense nell’estate del 2015. La gloriosa società emiliana è fallita e riparte dalla Serie D. I nuovi vertici della società decidono di ripartire dal grande Parma che fu con Scala presidente e Apolloni in panchina. I risultati sono straordinari: promozione in Lega Pro al primo colpo. Per commentare la propria carriera e la grande annata appena trascorsa, mister Apolloni si è gentilmente concesso ai microfoni di Io Gioco Pulito.

Qual è il compagno di reparto più forte con cui ha giocato?

Sicuramente ne ho avuti diversi importanti, quindi non è facile fare soltanto un nome. Potrei fare un vero e proprio elenco, a partire da Georges Grun, che per me è stato un calciatore di valore assoluto, nazionale belga con enorme esperienza anche a livello internazionale. Si è trattato di un partner difensivo per me e per la squadra molto importante perché ci ha permesso di migliorare le caratteristiche sia individuali sia del collettivo. Come non citare, poi, chiaramente: Cannavaro, Buffon, Thuram. I nomi parlano da soli per ciò che hanno raggiunto, tra scudetti e campionati mondiali. Da questo punto di vista, è stato un valore importante, da cui ho attinto, poter essere accanto a fenomeni del genere sin da quando ancora non erano così noti a livello mondiale.

L’attaccante più forte affrontato?

Anche in questo caso, è possibile fare diversi nomi: c’era gente come Van Basten, Gullit, Casiraghi, Zola, Asprilla, Batistuta. Si tratta di giocatori che hanno segnato il calcio italiano e lo hanno valorizzato, esportandolo anche all’estero. Fenomeni incredibili che hanno infatti vinto tantissimo. Ricorderò, però, in particolare, sempre Careca, ‘nascosto’ purtroppo dal più forte di tutti i tempi Diego Armando Maradona. Il brasiliano del Napoli, a mio modo di vedere, aveva una qualità e un’abilità straordinaria.

L’allenatore con cui si è trovato meglio?

Ho avuto sempre allenatori importanti per me, sin dal settore giovanile. Mi hanno formato come uomo e giocatore, pertanto sarebbe riduttivo prenderne ad esempio solo uno. Ci sono stati Scala e Prandelli, poi Sacchi in nazionale, Ancelotti che era agli inizi, Nello Santini, il primo a livello professionistico..ognuno di loro mi ha dato qualcosa, mi ha arricchito. Non posso dimenticare quelli che mi hanno formato e dato la possibilità di ritrasmettere anche nei comportamenti il calcio che voglio. Ricordo con affetto il mio primissimo allenatore, purtroppo poi scomparso e che pertanto ha seguito la mia carriera solo a metà. l’allenatore ai tempi della Lodigiani Bruno Iafolla, che si confrontava con giocatori che sarebbero poi diventati grandi come Silenzi, Lopez o Toni. Fu fondamentale anche per la formazione dei miei valori umani.

Il momento più emozionante da giocatore con la maglia del Parma?

Devo dire che sono stato fortunato perché ce ne sono stati veramente tanti. Tramite il Parma ho raggiunto grossi traguardi. Uno dei momenti più importanti, come base per la grande crescita seguente, fu l’anno della promozione dalla B alla A. Era il primo anno di Scala e partimmo benissimo. Tuttavia, incappammo poi in un blackout totale tra febbraio e marzo. Sbagliammo diverse partite e ricevemmo anche critiche pesanti nei confronti nostri, ad esempio sul fatto che non volessimo andare in Serie A. Si trattò invece solo di una fase in cui non riuscivamo a fare risultati per un calo psicofisico. Scala ci portò pure in ritiro e la società le provò tutte per farci riprendere. Quando tornammo tranquilli, però, raggiungemmo la massima serie in una bellissima vittoria contro la Reggiana in un derby segnato da Melli ed Osio. Porto dentro questo bel ricordo perché secondo me fu questa la base per raggiungere obiettivi ottimi negli anni successivi. Da lì, infatti, arrivarono tre campioni stranieri come Taffarel, Grun e Brolin e partirono successi grandiosi.

Ricordi della finale del 1994?

Sono entrato dopo pochi minuti perché Mussi riscontrò un problema muscolare e partecipai alla finale con orgoglio. Ricordo un’emozione straordinaria ma anche contenuta perché ero molto concentrato sulla finale. Porto dentro diverse cose ma non tutte perché la mia mente era evidentemente del tutto proiettata a ciò che dovevo fare sul rettangolo verde. Di ricordi veri e propri ne ho pochi. Sicuramente, l’enorme amarezza per essersi visto la Coppa del Mondo passare davanti. L’ho accarezzata solo con gli occhi e non poterla prendere in mano è stato bruttissimo. Si trattò, comunque, di una grande esperienza. La finale arrivò dopo una grossa fatica iniziale. Arrivammo in fondo soprattutto perché venne fuori Roberto Baggio e di conseguenza la squadra prese coraggio e convinzione. Ci volle abilità e bravura ma anche fortuna per arrivare in finale. Peccato che a Pasadena trovammo un caldo incredibile, che limitò pure lo spettacolo perché noi giocatori soffrivamo molto giocare a certe temperature.

Che situazione ha trovato quando è tornato al Parma da allenatore?

La situazione migliore, visto che si partiva da zero completamente. E’ stato importante trovare grosso entusiasmo ed avere persone vicino che conoscevo dagli anni d’oro del Parma, come Scala e Minotti. Inoltre, la vicinanza di un elemento importante sul campo come capitan Lucarelli ha avuto un peso molto grande. L’inizio, seppur difficile, era contraddistinto da tanto entusiasmo e passione da parte di gente che arrivava dentro il centro sportivo di Collecchio ed era felice perché vedeva mura che parlavano di campioni e campi calcati da grandi campioni passati per Parma, come Buffon, Veron, Crespo, Chiesa, Asprilla, Dino Baggio..solo per fare qualche nome.

Era convinto da subito della possibilità di tornare immediatamente in Lega Pro?

L’idea di avere assemblato, dopo le difficoltà iniziali dovute alla scelta sui tanti calciatori in prova, una squadra forte c’era sin da subito. Certo, nel calcio poi non si sa mai e non potevo essere convinto sin dall’inizio che avremmo raggiunto un traguardo così importante con risultati così positivi. Ciò che mi incoraggiava, tuttavia, era il vedere nei miei uomini una grande passione, una enorme voglia di raggiungere l’obiettivo comune prima che del singolo. In questo caso, allora, capisci che sei sulla strada giusta, nonostante delle difficoltà, comunque, ci siano state durante il percorso.

Che Parma sarà?

Sicuramente vogliamo costruire un Parma che continui questo percorso di crescita partito dall’inizio della passata stagione. Le premesse ci sono. Abbiamo entusiasmo, voglia e pure le persone giuste nei posti giusti. Ho cambiato qualcosa nello staff proprio per questo motivo. Ci tengo a ringraziare i miei collaboratori per il livello incredibile raggiunto con il lavoro sul campo durante la passata stagione però avevo bisogno di gente con qualcosa di diverso. Ritengo che fosse necessario ciò anche per crescere io in prima persona. Ho mandato via due persone ma ne ho aggiunte altrettante con esperienza e valori importanti. L’aspettativa è di lavorare tutti in una direzione per portare il Parma a competere ancora ai massimi livelli.

Il calcio di Apolloni?

Non si può parlare di un modulo prediletto ma di una filosofia. Il mio credo è: testa, cuore e gambe. Bisogna dare tutto ciò che si ha, mettendoci abnegazione e determinazione. In ogni gara bisogna dimostrare di saper essere una squadra. Ai ragazzi che ho avuto, che ho e che avrò dico sempre che la cosa più importante è: “siate una squadra e lavorate da squadra“. E’ necessario sostenersi anche verbalmente, incitando e aiutando il compagno o anche riprendendolo ma con i modi giusti e per il bene della squadra. Ho sempre sostenuto che nessuno, neppure il più forte del mondo, fa vincere le partite da solo. Ogni match si vince e si perde tutti insieme. Infine, anche per una crescita personale del singolo, mai porre in primis degli obiettivi personali: al primo posto sempre e solo la squadra, il gruppo.

Nato a Roma sul finire degli anni Ottanta, dopo aver conseguito il diploma classico tra gloria (poca) e
insuccessi (molti di più), mi sono iscritto e laureato in Lingue e Letterature Europee e Americane presso la
facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Tor Vergata. Appassionato, sin dall'età più tenera, di calcio,
adoro raccontare le storie di “pallone”: il processo che sta portando il ‘tifoso’ sempre più a diventare,
invece, ‘cliente’ proprio non fa per me. Nel 2016, ho coronato il sogno di scrivere un libro tutto mio ed è
uscito "Meteore Romaniste”, mentre nel 2019 sono diventato giornalista pubblicista presso l'Ordine del Lazio

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