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Genova per Claudio

Genova per Claudio è forse il titolo più appropriato per un Genoa-Roma che, a quattro giornate dalla fine del campionato, risulta inopinatamente importante per le due squadre e per i rispettivi obiettivi stagionali, orientati al ribasso ma comunque di vitale importanza per due tifoserie costrette a dover soffrire fino all’ultimo minuto per conoscere il loro destino.

Ma soprattutto per Ranieri questa partita ha un significato particolare perché lo riporta indietro di otto anni, al 20 febbraio 2011, a una buia domenica d’inverno che lo spinse a rassegnare le dimissioni a causa di una delle partite più incredibili della storia della Roma. E del Genoa. Già, perché qualsiasi trasferta è difficile nel campionato italiano. E a Marassi, col calore dei tifosi di casa a ridosso dei bordi del campo, lo è in maniera particolare. Se poi ti mancano cinque giocatori (quella domenica, tra infortuni e squalifiche, al mister di Testaccio mancavano Vucinic, Adriano, De Rossi, Cassetti e Rosi) riuscire a fare risultato può diventare una piccola impresa. E quando, al 6° minuto del secondo tempo, Totti porta i giallorossi in vantaggio per 3 a 0, per Ranieri è impensabile immaginare che di lì a pochi minuti sarà costretto a prendere atto di una situazione arrivata al limite dell’ingestibilità che lo esilierà dalla Capitale.


Ma la Roma non ha razionali, manca di equilibri, vive di folate e di chissà cos’altro. Claudio lo sa ma non può fantasticare che quelle folate possano cambiare direzione e intensità nel breve spazio di trentacinque minuti, quelli che servono a Palacio e Paloschi per infilare nelle carni morbide e arrendevoli di una squadra improvvisamente assente a se stessa quattro colpi che segnano definitivamente la prima esperienza di Ranieri sulla panchina della Roma.

Una prestazione che gonfia d’incredulità e di rabbia i tifosi di quella che, almeno in quel pomeriggio, non può definirsi Magica: fluida e quasi spettacolare la squadra che arriva ad arrampicarsi al terzo gol; fragile e autolesionista quella che ne imbarca quattro, vittima della grinta e dell’orgoglio velocemente riguadagnato di una compagine seguita da migliaia di tifosi abituati ad  affrontare il mare per tutta la vita. Tifosi che innervano le gradinate di Marassi, mugugnano nei bar coi maxischermi sparsi negli angoli della città, che non smettono di sperare prima e di credere poi nell’impossibilità della rimonta, come non smise di sperare e di credere quel genovese nato nel 1451 che con quelle armi apri gli occhi dell’Europa su un mondo nuovo. Gli uomini di Ballardini travolsero Totti e compagni alla stregua di mareggiate che si inerpicano sugli scogli della Riviera superandoli, infilandone i pertugi, valicandone gli argini che appaiono così solidi in assenza di tempesta. Una tempesta che il Genoa scaricò sulle debolezze e le vanità (o i moti di ribellione interna?) di una Roma allora come oggi inaffidabile e traforata, ricorsa dopo la sconfitta di Oporto alle arti di mister Ranieri per provare a sistemare una stagione sembrata ai più terminata anzitempo.

Cosa sarà Genova per Claudio? Occasione per passare definitivamente il panno sulla lavagna e cancellare il resoconto di quella sconfitta storica? Oppure ricaduta nel gorgo di corsi e ricorsi storici che rinnoveranno la ferita di un fallimento? Genova per Claudio, qui si fa il titolo. Sul campo, domenica alle 18, la stesura di un nuovo, imprevedibile racconto.

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Giornalista e scrittore, coltiva da sempre due grandi passioni: la letteratura e lo sport, che pratica a livello amatoriale applicandosi a diverse discipline. Collabora con case editrici e redazioni giornalistiche ed è opinionista sportivo nell’ambito dell’emittenza televisiva romana.
Nel 2018 ha pubblicato il romanzo "Ci vorrebbe un mondiale" – Ultra edizioni. Nel 2021, sempre con Ultra, ha pubblicato "Da Parigi a Londra. Storia e storie degli Europei di calcio".

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