Sono brasiliani, giovani e talentuosi. Ma non basta: in comune hanno anche il costo, vicino ai 30 milioni di euro per il loro acquisto, e i minuti giocati. Pochi, anzi pochissimi. Quasi niente. Ah, altro indizio: entrambi hanno la G nel segno. G come Gabriel Barbosa Almeida, G come Gerson Santos da Silva. G come Ghost, fantasma: già, perché sin qui per le rose di Inter e Roma Gabigol e Gerson hanno rappresentato due presenze impalpabili. Di certo per responsabilità dei calciatori, ancora molto giovani e sin troppo esposti alla luce dei riflettori al loro arrivo: non mancano però i demeriti di chi li ha scelti, probabilmente pagandoli più del loro valore, e di chi li gestisce. Oggi i due brasiliani (21 anni Gabigol, 20 Gerson) sono corpi estranei nei liquidi di Milano, sponda neroazzurra, e Roma, anima giallorossa. Destinati a sprofondare, se non ci sarà un’inversione di rotta.
I minuti giocati sono il dato maggiormente sconfortante: 82, suddivisi in sei spezzoni di partita, per Gabigol. 130, spalmati in quattro incontri, per Gerson. Per entrambi, però, i radar si sono spenti con l’aumento delle temperature. Un paradosso, per chi dovrebbe sentirsi a proprio agio con il caldo, e non vedere i sogni di gloria sciogliersi alla luce del sole. Il calendario, però, conta poco: per il numero 30 romanista, chiamato a sostituire Pjanic volato a Torino e strappato al Barcellona, la frattura con l’ambiente è maturata tra dicembre e gennaio: prima 45 minuti impalpabili confinato a destra proprio nella trasferta persa allo Juventus Stadium, poi il “no” al trasferimento al Lille. Le incomprensioni tra Gerson e Roma, però, hanno radici lontane, risalenti al gennaio 2016: il primo errore, forse il più grande è stato compiuto al momento dell’acquisto, non chiarendo all’entourage di Gerson l’intenzione di spedirlo in prestito in Italia per sei mesi per aggirare il limite degli extracomunitari tesserabili e al calciatore di ambientarsi in un campionato a lui totalmente sconosciuto. Ben presto, i 17 milioni di euro versati al Fluminense sono diventati un pericoloso boomerang dalle parti dell’Olimpico, restituito al mittente sul gong dell’ultimo calciomercato invernale, con il diniego al passaggio al club francese. La spallata decisiva per Gerson è arrivata con l’addio del suo “patrigno” calcistico Walter Sabatini: se a questo si sommano gli equivoci tattici che hanno riguardato un talento ritenuto troppo compassato per agire come mezz’ala e poco pronto a reagire alle asfissianti marcature sulla trequarti del calcio italiano per stare alle spalle delle punte.
Dal tritacarne romano a quello milanese il passo è breve: meno pressioni, è vero, ma anche più milioni versati. Per Gabigol il ds Piero Ausilio ne ha versati quasi 30 al Santos per strapparlo alla concorrenza dei top club europei. De Boer non lo voleva, la dirigenza sì. Il peccato originale è stato trascinato per l’intera stagione, a discapito della maturazione di un calciatore con grandi mezzi –24 reti con la gloriosa maglia del club Paulista e un oro olimpico non si meritano per caso, soprattutto se sei appena maggiorenne- ma evidentemente ancora non pronto per il grande salto. I primi mesi lo hanno visto impegnato solo in allenamento, tanto da fargli guadagnare il soprannome di Gabighost: nel suo destino c’è stato il Bologna. Contro gli emiliani ha esordito in campionato a San Siro il 25 settembre e alla formazione di Donadoni ha segnato la prima –e sin qui unica- rete in serie A. 19 febbraio 2017, ingresso in campo al 75’ e centro al minuto 82. Poteva sembrare l’inizio dell’ascesa, è stata la rampa di lancio per il dimenticatoio: uno spezzone di partita contro la Roma, prima di conoscere ogni centimetro quadro della panchina tra marzo e aprile. Pioli si è limitato a spiegare di essere pagato per “fare le scelte che ritengo migliori per la squadra”. Vien da se che Gabigol e il bene dell’Inter, oggi non camminano di pari passo. Nemmeno quando la rosa totalizza due punti in sei partite, come l’attuale striscia conferma. Una nebulosa che fa rima con imbarazzo generale. Della serie: forse si preferisce che i tifosi si chiedano perché non gioca mai piuttosto che vederlo in campo per poi domandarsi come mai è stato pagato 30 milioni.
La prossima estate, per Gabigol e Gerson, sarà quella dei prestiti: per non disperdere un capitale e dimostrare che nel calcio che conta ci possono stare. Come avvenuto a Coutinho, per restare a brasiliani in nerazzurro, transitato dall’Espanyol prima di esplodere a Liverpool, o come a Roma è successo a Florenzi, romano di nascita ma maturato a Crotone. Perché di meteore pagate a caro prezzo, da Ricardo Oliveira al romanista Bartlet, passando per Esnaider, Redondo, Dhorasoo e Kapo, la storia del calcio italiano è piena. Di talenti esplosi e capaci di illuminarlo, anche: a Gerson e Gabigol la scelta. Ghost o Golden?