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Formula 1: è scoccata l’ora dei giochi di squadra a tre punte?

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E così anche alla Mercedes esistono i giochi di squadra? Il quesito sorge dopo aver assistito ai sorpassi-fotocopia, al 27° e al 48° giro del Gran Premio del Bahrain, di Lewis Hamilton al compagno di colori Valtteri Bottas senza che quest’ultimo abbia opposto la benché minima resistenza.

In entrambi i casi, le Frecce d’Argento occupavano il secondo e il terzo posto ed erano all’inseguimento della Ferrari di Vettel, poi vincitrice della gara. A sorprendere, in particolare, la seconda manovra, giunta a nove giri dal termine e dopo il secondo pit-stop di entrambi, con Hamilton che, azzerato un divario dal finnico di nove secondi e mezzo in sei giri, l’ha infilato con una disinvoltura e con una semplicità solite vedersi più per un doppiaggio che per la conquista di una posizione.

Se è pacifico che tra i due l’inglese fosse il più veloce in quel momento e che Bottas nel finale abbia sofferto di sovrasterzo, tanto che Raikkonen gli è arrivato in scia, altrettanto legittimo chiedersi se, dopo la pole-position del sabato, lo scandinavo non avesse desiderio di dimostrare al team che poteva tenere testa al più blasonato compagno anche in corsa. Poiché ciò non è avvenuto, logico domandarsi se tanta “gentilezza” non sia allora figlia di una logica di squadra definita a tavolino ancor prima di Melbourne, con Hamilton prima guida e Bottas secondo pilota chiamato a cedere il passo al britannico ogniqualvolta questi abbia la possibilità di conquistare qualche punto in più per la classifica. In tal caso, si spiegherebbero le parole di Toto Wolff proprio dopo l’Albert Park, dove Bottas ha chiuso negli scarichi del tre volte iridato senza però attaccarlo: «Lewis aveva le gomme più vecchie e doveva poter gestire sul finale. Quindi abbiamo chiesto a Bottas di restare tranquillo».

«Gli ordini di scuderia sono stati una costante in Ferrari per tantissimi anni. Non voglio accada lo stesso in Mercedes» ha affermato Hamilton nel week-end di Sakhir. Vero. Negli ultimi vent’anni, in più di un’occasione la Ferrari ha adottato questa politica. Come lei, quando necessario, anche Williams, Jordan, Renault e Red Bull. Non c’è niente di male e, soprattutto, dal 10 dicembre 2010 la federazione ha abolito il divieto sul punto, che comunque i costruttori avevano imparato ad aggirare con eleganza. Nel Gran Premio della Turchia di quella stagione, per esempio, per non compromettere la doppietta, alla McLaren dissero a Button di non sprecare benzina mentre era alle spalle proprio di Lewis Hamilton. Che a Hockenheim, nel 2008, mentre rimontava per la vittoria, beneficiò di un improvviso lungo al tornantino dell’altra McLaren, quella di Kovalainen, non appena gli apparve negli specchietti.

E anche alla Mercedes i giochi di squadra non sono una novità assoluta. In Malesia, nel 2013, Rosberg non attaccò Hamilton in quel momento terzo, ma via radio fu abbastanza eloquente col box: «Remember this one!». Seguì l’inevitabile polemica con Niki Lauda, allora già presidente non esecutivo, critico col muretto: «Non dovevamo bloccare Nico, è stato un gesto antisportivo».

Era la seconda tappa della stagione, una temporalità molto simile all’attuale, ma da quel momento a Brackley sposarono una linea di sostanziale uguaglianza fra i loro piloti, lasciando Rosberg e Hamilton liberi di battagliare. Anche dopo i due titoli mondiali dell’anglo-caraibico, come ha dimostrato la loro collisione poche curve dopo il via del Gran Premio di Spagna del 2016.

Ora però ci si interroga se tanta autonomia non derivasse dalla consapevolezza di essere i padroni incontrastati della scena e di una lotta per l’iride buona per un involontario omaggio a Fenoglio (una questione privata) mentre quest’anno, preso atto di una superiorità non più schiacciante e delle insidie derivate da un incomodo esterno (la Ferrari), Wolff e soci non abbiano cambiato strategia, tenendo a mente anche le affermazioni del CEO Daimler, Dieter Zetsche, dopo il Gran Premio d’Ungheria del 2014: «In Mercedes non ci sono ordini di scuderia e se ci saranno, allora sarà dovuto a situazioni di emergenza».

E siccome a Maranello hanno già vinto due gran premi su tre, non è che in casa della Stella a Tre punte è scattato l’allarme?

Classe 1982, una laurea in "Giornalismo" all'università "La Sapienza" di Roma e un libro-inchiesta, "Atto di Dolore", sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, scritto grazie a più di una copertura, fra le quali quella di appassionato di sport: prima arbitro di calcio a undici, poi allenatore di calcio a cinque e podista amatoriale, infine giornalista. Identità che, insieme a quella di "curioso" di storie italiane avvolte dal mistero, quando è davanti allo specchio lo portano a chiedere al suo interlocutore: ma tu, chi sei?

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