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#FertilityDay, la maternità (im)possibile delle campionesse sportive

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Qualche giorno fa i social sono impazziti per la campagna #fertilityday lanciato dal Ministero della Salute. Tante le critiche che sono piovute sul progetto, molte di carattere, per così, dire stilistico soprattutto da parte di giornalisti, comunicatori o addetti ai lavori. Quello che si contesta alla campagna comunicativa è di voler “colpevolizzare” le donne che per le ragioni più diverse decidono di procrastinare l’età della prima gravidanza rischiando dare al mondo solo figli unici. Altri detrattori hanno criticato l’idea stessa che lo Stato possa interessarsi di questioni private come quella della maternità negando, di fatto, la legittimità di politiche per la natalità. In realtà quello toccato, forse in maniera un po’ maldestra, dal Ministero della Salute è un vero e proprio nervo scoperto per l’Italia. Come scrive Maurizio Ferrera nel sul bel libro “Fattore D” (Mondadori 2008): “Il tasso di fecondità dell’Italia è calato dal 2,7% del 1965 all’1,2% del 1995, il valore più basso del mondo per quell’anno. [..] Siamo ancora lontanissimi non solo dal livello necessario per assicurare la stabilità demografico (2,1) ma anche dai paesi nordeuropei e della Francia. [..] Senza una ripresa della natalità e/o ingenti flussi migratori la popolazione della nostra è destinata a contrarsi massicciamente entro il 2050: dai 57 milioni di oggi a circa 41 milioni di italiani, un calo del 28% in quarant’anni“.  L’argomento dovrebbe quindi essere al centro dell’agenda di qualsiasi Governo che abbia a cuore l’interesse nazionale.

JOSEFA IDEM E VALENTINA VEZZALI, MAMME OLIMPICHE.  Molto controverso è il rapporto della maternità con la pratica sportiva. Le donne sportive vedono sovrapporsi il periodo più florido della loro carriera agonistica con gli anni giovanili, quelli nei quali le donne sono più fertili. Proprio in Italia abbiamo grandi esempi di donne che hanno saputo coniugare i successi sportivi con la maternità. Due nomi su tutti sono quelli di Josefa Idem e Valentina Vezzali. La schermitrice, che detiene il record italiano dei 6 ori olimpici, è mamma di due figli nati il primo, Pietro, nel 2005 e il secondo Andrea, nel 2013. Le gravidanze non hanno fermato Valentina che nel 2005, a soli 4 mesi di distanza dal parto, vince un oro individuale al Campionato del Mondo di Lipsia e nel 2013, dopo 2 mesi e mezzo dalla nascita di Andrea, partecipa ai Campionati mondiali di scherma di Budapest, vincendo l’oro con la sua squadra. Iter molto simile è quello della campionessa di canoa Josefa Idem, che a 15 mesi dal parto e all’età di 40 anni torna in acqua e vince la medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Atene del 2004.

RIO 2016: I SUCCESSI DELLE MAMME – TIRATRICI CAINERO E BACOSI. Esempi di mamme o future mamme atlete che non hanno rinunciato all’adrenalina della gara ne abbiamo avuti anche alle ultime olimpiadi. La portoricana Diana Reyes è partita con la sua squadra per il Brasile sebbene incinta di 4 mesi.  Joesefa de Souza, pallavolista brasiliana, ha gareggiato a Rio dopo aver dato alla luce la sua Annah Victoria a maggio, appena due mesi prima della competizione olimpica. Anche l’Italia ha portato le sue “mamme” a Rio, sono le medagliate del tiro a volo Diana Bacosi e Chiara Cainero, rispettivamente oro e argento. Chiara Cainero a proposito della maternità ha detto: “Ci sono molte mamme atlete che fanno grandi risultati, essere mamma è un valore aggiunto, non una penalizzazione, abbiamo capacità organizzative che gli uomini non hanno”.

CASO STEFANOVA, ESCLUSA DA RIO PERCHE’ MAMMA. La buona volontà a volte però non basta. E’ questo il caso della campionessa di tennis da tavolo Nikoleta Stefanova,  che non è stata convocata per le Olimpiadi di Rio 2016 per essersi assentata dai ritiri previsti dalla Federazione Italiana Tennis durante la gravidanza. “Il mio errore forse è stato quello di non supplicare “per favore, convocatemi”, ma di provare a parlare coi fatti” – ha denunciato la Stefanova – “Pensavo esistesse la meritocrazia e che un direttore tecnico prendesse decisioni in base ai risultati. In questi mesi mi sono allenata duramente e sono al top. Purtroppo penso centri anche la mia recente maternità. È più semplice avere a che fare con una diciottenne che con una mamma con due figli”. Per la cronaca, l’Italia a Rio non ha presentato atleti nella disciplina del tennis da tavolo. Ancora più grave è quello che denuncia la bella inchiesta “Perché lo sport non ama le donne” di “La Repubblica”. Secondo quanto dice Luisa Rizzitelli (Assist, sindacato delle sportive) “La pratica delle clausole anti gravidanza non è ancora stata debellata. In molte sono costrette a sottoscrivere scritture private in cui si vieta esplicitamente di rimanere incinta, pena l’espulsione immediata dalla società e il rischio non poter più tornare a gareggiare“. E la Idem denuncia che “Solo poche federazioni congelano il ranking nel periodo in cui un’atleta è ferma per gravidanza o maternità“.

MATERNITA’ SENZA RICATTI. Questi casi gettano una luce oscura sul mondo dello sport che se da un lato si dimostra prodigo ad accogliere le medaglie guadagnate dalle sue atlete dall’altro è ben poco disponibile a riconoscere le naturali differenze dagli uomini.  I discorsi sull’uguaglianza tra i generi si muovono sul crinale della medesima possibilità di realizzare a pieno ogni aspetto della propria persona. Per le donne che lo desiderano questo significa avere la possibilità di vivere la maternità, alla quale va riconosciuto un valore sociale, senza subire il ricatto del tempo che passa.

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