Tutta Italia aveva aspettato le tre di notte per assistere a quella che pochi anni fa sarebbe stata una gara scontata. All’Olimpiade di Rio 2016 però Federica Pellegrini non è riuscita a ripetere l’exploit di Pechino e si è dovuta accomodare fuori dal podio come a Londra 2012. Quel “piccolo incubo” come lei stessa l’aveva definito ha preso vita al momento di toccare la corsia quando il suo sguardo speranzoso si è infranto sul display del podio che non recitava il suo nome. E la delusione è stata inevitabilmente tanta. “Sorrido ma qualcosa dentro me muore”, scriveva Federica Pellegrini nel suo profilo Instagram, un post enigmatico che lasciava presagire il peggio, il ritiro dalle vasche di una delle nuotatrici migliori di tutti i tempi. Oggi la bufera sembra passata e l’ondata di delusione che aveva travolto Federica sembra finalmente un lontano ricordo. E sempre Instagram è il diario scelto per sfogare le sue emozioni: “Qui c’è ancora qualcosa da fare”, scriveva a margine di una foto che la ritraeva a bordo piscina. L’obiettivo ora è il Mondiale di Budapest in estate ma la “Divina” guarda già al 2020 dove a Tokyo si svolgerà l’Olimpiade, l’ultima per lei.
Una storia che per certi versi ricorda quella di Lionel Messi, il campione di calcio argentino che dopo la terza sconfitta consecutiva in una finale ha deciso di abbandonare la maglia della sua Nazionale sconvolgendo il mondo del calcio. La pulce ha tuttavia ritrattato dopo essere stato sommerso dalle critiche dei suoi colleghi, su tutti svetta il duro attacco che Diego Armando Maradona gli ha rivolto.“Non so se quella di Messi è stata una messinscena per farci dimenticare le tre finali perse – ha detto il Pibe de oro – Un ragazzo che prima dice di mollare e poi fa questo passo indietro nel giro di poche settimane, dimostra di non avere tutte le rotelle a posto”. Alla fine, il numero 10 del Barcellona ha preso tempo e ha preso la decisione che più ha fatto sorridere i tifosi argentini. Lionel Messi si è infatti messo a disposizione del nuovo Ct Bauza e ha già fissato l’obiettivo per il Mondiale 2018 in Russia.
Ma per due storie di due campioni che ce l’hanno fatta a superare la depressione post sconfitta, ce ne sono altre di personaggi del mondo dello sport che si sono arresi alla tremenda delusione di un obiettivo fallito. Lo sa bene Ian Thorpe che dopo aver vinto nove medaglie olimpiche ed esser diventato il più vincente atleta australiano di sempre, non ha retto alla frustrazione derivata dalla mancata qualificazione a Londra 2012 che lo ha spinto al ritiro dalle attività. Non è stata invece una delusione sportiva a costringere Elena Isinbaeva ad annunciare l’addio ufficiale dal salto in alto. A causa dello scandalo doping che ha riguardato lo sport russo, l’atleta non ha potuto partecipare ai Giochi che si sono tenuti a Rio la scorsa estate, uno smacco troppo grande per Yelena che però è riuscita a guadagnarsi una parziale rivincita con l’elezione tra i membri del Cio.
Due coppie di storie parallele con esiti diversi. Da una parte il campione che riemerge dalla bufera e prova a rilanciare se stesso, dall’altra l’arrendevolezza e la delusione più forte del desiderio di riscatto. Un problema che mette in luce ancora di più il ruolo potenziale che potrebbe avere il mental coach sul futuro di un campione. “Quando un atleta vive una grande delusione sportiva, istintivamente, cerca una soluzione per metabolizzare questo evento particolarmente doloroso”, ha detto il mental coach Mauro Pepe in esclusiva a Io gioco pulito. “La soluzione è molto personale e dipende dalla capacità dell’atleta di dare un significato produttivo o meno all’evento appena vissuto – ha aggiunto – Esistono atleti che vedono una sconfitta come un fallimento totale, un evento che macchierà per sempre la propria carriera e vorrebbero quasi scappare dalla possibilità di ripetere una tale sofferenza. Altri atleti, invece, dopo una sonora sconfitta, decidono di reagire e traggono nuove motivazioni dalla voglia di rivincita. Altri ancora dopo la delusione iniziale guardano alla sconfitta come un’opportunità di crescita e di miglioramento”. Pepe ha poi precisato il ruolo del mental coach: “E’ un professionista che si occupa di aiutare l’atleta a creare dei significati produttivi rispetto all’esperienza appena vissuta, trasformandola in un’opportunità per diventare ancora più forte”. Infine, sul rischio di sovrapposizione del ruolo del mental coach con quello dell’allenatore, Mauro Pepe non ha dubbi: “Molti allenatori considerano la figura del Mental Coach come una minaccia per la propria leadership. In realtà, è l’esatto contrario. Bisogna considerare questo professionista come una risorsa utile da inserire all’interno dello staff. Inoltre, il Mental Coach è una risorsa preziosa anche per la crescita personale e professionale dell’allenatore. Che può migliorare la sua comunicazione, la gestione del gruppo e la sua abilità nel motivare”.
Ringraziamento speciale per il contributo a Mauro Pepe, Mental Coach ( www.vinciconlamente.it )