Sono passati 10 anni dall’ultimo successo Ferrari. Continuiamo il nostro viaggio in questa decade di gioie strozzate, lacrime amare e aspettative disattese.
2011 – Al box sventola bandiera bianca. La Ferrari s’impegna a fondo per il riscatto, ma la Red Bull è troppo più forte. Fin dall’inizio. Vettel, che si conferma campione, e Webber vincono 12 gare su 19 e ottengono assieme 18 pole-position. Anche la McLaren, 6 successi e 1 pole, è migliore della F150. Alonso termina 4° in classifica con 1 vittoria (Silverstone) e 9 podi. Massa invece non va mai oltre il 5° posto e la scuderia è attraversata da una crisi tecnica con Nick Tombazis al posto di Aldo Costa dopo Barcellona dove Alonso, in testa alla prima curva, finisce doppiato.
2012 – L’ultimo samurai. Semplificandola, sembra “Alonso contro il Resto del Mondo”. Sennonché, come spesso succede, la realtà supera l’immaginazione. Red Bull, McLaren e anche la Lotus del rientrante (e brillante) Raikkonen inizialmente sono migliori della F2012. E il campionato è uno dei più belli di sempre: sette gare, sette vincitori e quattro leader della classifica differenti. Al suo interno, c’è poi il campionato di Alonso. Che meriterebbe una narrazione a parte. Perché pare davvero una sfida titanica, roba da scalata dell’Everest a mani nude. Per recuperare rispetto alle qualifiche (2 pole e, dopo agosto, solo 1 volta in 2° fila), lo spagnolo corre con la katana fra i denti, spingendo sempre la vettura al limite, talvolta anche oltre. Il 25 marzo vince nel tifone di Sepang, una seconda Corea per sospensioni e ripartenze, dalla 9° posizione e obbligando i diretti inseguitori a sabbiosi fuoripista. Non è niente in confronto a Valencia, 24 giugno. Dove trionfa dalla 6° fila. Su un circuito cittadino. Antologico. Si ripete in Germania, a metà stagione. Dove ha +34 su Webber e +44 su Vettel. Dopo la pausa, però, le Red Bull fanno lo scatto in avanti che non riesce alla Ferrari. Quando arriva, Alonso è sempre sul podio. Ma in Belgio e in Giappone ogni sforzo è vanificato da due incidenti al via. Vettel infila quattro vittorie e s’invola verso il terzo titolo. All’ultimo atto, in Brasile, ha +13 su Alonso. I colpi di scena però non sono finiti. Poche curve dopo lo start, va in testacoda. Ma la sua Red Bull è evitata dalle altre monoposto. Riparte e recupera fino al 6° posto. Alonso non riesce a impensierire la McLaren di Button. È 2° al traguardo e in classifica. Per tre miseri punti. La Ferrari 3° nel Costruttori (Massa, due podi). Rabbia e beffa.
2013 – La Ferrari è competitiva fino all’estate. Poi non riesce più a tenere il passo della Red Bull di Vettel, che si aggiudica il quarto alloro. Alonso, due vittorie, finisce 2° ma a oltre 150 punti. E cresce la delusione. Un podio solo per Massa, ai saluti finali.
2014 – Si apre l’era ibrida turbo-elettrica, si chiude un capitolo della Ferrari. Quello di Luca di Montezemolo, che lascia la presidenza a Sergio Marchionne. Quello di Stefano Domenicali, che dà le dimissioni dopo il Bahrein per gli scarsi risultati. Quello di Fernando Alonso, che non prolunga il contratto in scadenza nel 2016 e preferisce andarsene a fine stagione. Non dopo aver regalato un’altra impresa all’Hungaroring, quando azzarda oltre trenta giri senza pit-stop per provare a vincere. Finisce 2°. È l’unica gioia. C’è di nuovo Raikkonen, ma la macchina non è mai competitiva perché – si racconta – è stata privilegiata l’aerodinamica a scapito del motore.
2015 – Anno zero. Al muretto, come team principal dopo l’interregno di Marco Mattiacci, c’è Maurizio Arrivabene. Al volante, assieme a Raikkonen, Sebastian Vettel. Che ben s’integra con squadra e ambiente. Ma la stagione, come la precedente, è egemonizzata dalle Mercedes. Le tre vittorie del tedesco (Malesia, Ungheria e Singapore), il ritorno in pole dopo tre anni, e il 3° e 4° posto nella classifica piloti fanno sperare per il futuro.
2016 – La grande illusione. Gli ottimi tempi nei test pre-stagionali spingono a parlare di una Ferrari in grado di battagliare per il titolo. Ma la realtà sarà ben altra. La SF16-H non vince mai, tiene il passo della Mercedes solo nella prima metà di campionato e poi è sopravanzata anche dalla Red Bull. Un passo indietro rispetto il 2015 dovuto anche ai problemi personali, a inizio stagione, del direttore tecnico James Allison, che lo costringono ad allontanarsi dal team e privano lo sviluppo della vettura del suo principale artefice. Ad agosto, il suo posto sarà preso da Mattia Binotto.
2017 – L’occasione perduta. La Ferrari è in forma. E non solo nei test invernali. All’esordio, in Australia, con una perfetta strategia Vettel supera la Mercedes di Hamilton, alla vigilia favorito per il titolo, e vince la gara. Si ripete in Bahrein, a Montecarlo (Raikkonen in pole-position) dove arriva una doppietta dopo sette anni, e a Budapest (altra doppietta), andando in vacanza con +14 su Hamilton. Ma a settembre, oltre l’estate, tramontano anche le speranze mondiali. A Monza, dominano le Frecce d’Argento. A Singapore, Vettel e Raikkonen finiscono fuorigioco alla prima curva. In Malesia e in Giappone, problemi di affidabilità allontanano il tedesco da Hamilton, che mette le mani sul quarto titolo della carriera. Proprio a Interlagos, dove tutto era cominciato, Vettel ritrova la vittoria con Raikkonen 3°.
Semplice fatto statistico o simbolica chiusura di un cerchio apertosi inconsapevolmente dieci anni prima? A rispondere, sarà il futuro e, soprattutto, il lavoro che nei prossimi mesi sarà svolto a Maranello. Dove, oltre a contare il tempo che passa, si tiene a mente anche la massima di Aureliano Secondo – “Non può piovere per tutta la vita” – e ci si chiede: ma quando ritornerà a splendere il sole?
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