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Esteban de Jesus, l’ultimo abbraccio dal suo peggior “nemico”

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Esteban de Jesus, l’ultimo abbraccio dal suo peggior “nemico”

Il 2 agosto 1951 nasceva Esteban De Jesus, talentuoso peso leggero portoricano, conosciuto anche col soprannome di “Vita”, che concluse la propria esistenza, vinto dall’AIDS, a soli trentasette anni.

Nel 1972, diciassette anni prima, aveva sbalordito il mondo battendo con decisione unanime, al termine delle dieci riprese previste, la stella di prima grandezza nel panorama pugilistico internazionale, Roberto Duran.

Quella patita contro De Jesus sarebbe poi risultata essere l’unica sconfitta dell’imbattibile Manos de Piedra nei primi tredici anni di carriera.

I due si affrontarono in altri due incontri, andando a comporre un’epica trilogia rimasta nella storia: nel 1974 a Panama City e nel 1978, a Las Vegas.

Entrambi i match furono vinti da Roberto Duran, ma vi furono strascichi polemici per il rifiuto di combattere a Porto Rico da parte del fuoriclasse panamense.

Nel 1981, per una banale lite stradale, avvenuta subito dopo essersi iniettato una dose di cocaina, Esteban uccise un diciassettenne in circostanze mai chiarite, con una pistola che non gli apparteneva e senza testimonianze ben circostanziate; per tale delitto fu condannato a passare i suoi restanti anni di vita nel carcere di Rio Pedras.

Profondamente pentito per il proprio gesto di cui pur non ricordava nulla, che sicuramente era stato di dubbia intenzionalità e le cui dinamiche avevano un’infinità di punti oscuri, si trasformò in un detenuto modello.

Saputo della morte del fratello, con cui aveva condiviso siringhe di eroina in gioventù, fece il test per l’HIV, scoprendo di essere già in uno stato avanzato della malattia.

Ormai giunto allo stadio terminale, nell’ottobre del 1989 ricevette la grazia dal governatore di Porto Rico, potendo così attendere la morte nel proprio letto.

Tra i tanti amici che gli gravitavano attorno nei tempi in cui era stato un celebrato campione, tra i molti avversari, tecnici e compagni di allenamento, l’unico a fargli visita fu il suo acerrimo nemico sul quadrato, Roberto Duran.

In quei tempi, il virus HIV era misconosciuto e terrorizzava le persone; eppure, in un gesto di grande compassione, Roberto Duran Samaniego, giunto al capezzale di De Jesus accompagnato dal figlioletto, abbracciò l’uomo che tanto rispetto si era meritato sul ring.

Nella squallida e triste stanzina, in cui tutti sapevano che la morte non avrebbe tardato a calpestare l’uscio, si trovava pure il vecchio José Torres, argento alle olimpiadi di Melbourne ‘56 nei medi junior, che immortalò il momento con questa fotografia passata alla storia.

Esteban morì quattro settimane più tardi, stringendo un crocifisso sul petto.

Nipote di un insegnante sammarinese migrato nei licei delle vallate alpine, sono nato a Padova nel ’70 ed ho chiuso il cerchio di itinerante storia familiare rientrando nell’antica repubblica del Titano quando non ero ancora trentenne.

Avevo prima vissuto in varie parti d’Europa, dei Caraibi e dell’Africa grazie a diversi, talvolta avventurosi, impieghi giovanili. Al contrario, ora, lavoro in banca.

Ho coronato il mio amore per le lingue e le letterature straniere all’Università di Urbino, compiendo gli studi in una lunga e poco gloriosa carriera accademica.

Appassionato sportivo, ho praticato con alterne fortune il pugilato, il windsurf, il calcio, la canoa olimpica. Seguo il rugby con piglio da intenditore. Nel 2015 ho attraversato l’Adriatico in kayak nel suo punto più largo.

Scrivo di boxe perché ne vale la pena: il ring trattiene tra le corde le storie che la fantasia di un romanziere non potrebbe mai eguagliare.

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