Un tempo, precisamente ormai cinque stagioni fa, l’apertura delle frontiere russe sarebbe dovuta essere verso Milano. Il capoluogo lombardo era nella lista dei designati per l’espansione del più importante campionato europeo di hockey: la KHL (Kontinental Hockey League), che sostanzialmente rappresenta il campionato russo con alcuni allargamenti, a Riga, Bratislava, Zagabria, Minsk e Helsinki in Europa, ad Astana in Kazakistan. Poi non se ne fece più niente, il Milano vide sfumare non solo un sogno ma anche un’occasione importante, e così gli ultimi ingressi europei sono rappresentati dal Jokerit Helsinki, e dal neonato HK Sochi, sull’onda post-Olimpiadi invernali del 2014. L’espansione è però all’ordine del giorno nei quadri dirigenziali della KHL, che non intende rappresentare solo la vasta Russia, e per consolidare lo status di (eterna?) seconda della classe nel panorama dell’hockey mondiale, dietro solo al colosso americano NHL, guarda costantemente oltre i confini europei, consapevole che l’opportunità di un campionato di così alto livello è ghiotta per tutti. Il Jokerit Helsinki, pur di approdare in KHL, ha lasciato uno dei campionati più seguiti d’Europa, in una nazione dove l’hockey su ghiaccio è sport nazionale e il campionato (la Liiga finlandese) è in assoluto la competizione più seguita dalla popolazione. Il prossimo ingresso, per l’imminente stagione 2016-2017, non arriva però da una nazione fredda e con rodata esperienza sulle piste. La Cina è vicina ormai ovunque. Non solo il suo campionato di calcio acchiappa-star, non solo l’arrivo di grandi magnati per tentare le fortune nel calcio europeo (anche se in Lega Pro abbiamo il caso anomalo del Pavia, schiacciato dai debiti e costretto ad agguantare la Serie D), ma anche espansione interna in altri mondi: l’hockey su ghiaccio è uno di questi.
Con sede nella capitale Pechino, a marzo 2016 è nato il Kunlun Red Star da un Protocollo d’Intesa fra Vladislav Tretiak, in rappresentanza della Federazione russa di hockey ghiaccio, il chairman della KHL Gennady Timchenko e il board dei Red Star, anch’esso di matrice russa: Vladimir Krechin è il general manager, Vladimir Jurzinov Jr l’head coach. In effetti, non potrebbe essere altrimenti. Con tutto il rispetto, sarebbe stato difficile trovare un tecnico cinese in grado di guidare la squadra contro corazzate russe come i campioni in carica del Metallurg Magnitogorsk, l’armata rossa CSKA Mosca, lo SKA di San Pietroburgo che accoglie le gesta di Pavel Datsyuk reduce da 11 anni di NHL da protagonista a Detroit, o ancora il Sibir Novosibirsk e il Salavat Yulaev di Ufa. Una Cina a tinte russe, ed è ecco che nascono le Red Star Kunlun, pronte a disputare le proprie partite casalinghe al MasterCard Center, in condivisione con i Beijing Ducks di basket.
Ma perché espandersi a Oriente? La scelta è ben precisa, ed è stata cercata soprattutto dalla Cina, con una specifica motivazione per la città di Pechino. La capitale ospiterà le Olimpiadi invernali del 2022, diventando così la prima città in tutto il mondo ad ospitare sia le Olimpiadi tradizionali, estive, che quelle invernali, dedicate al ghiaccio e alla neve. Occorreva qualcosa che lanciasse e, come si dice nel gergo più vicino al mercato musicale, creare hype, ovvero attesa, aspettativa, verso quella che sarà la seconda occasione di grande sport per Pechino. L’hockey su ghiaccio, con tutta la sua spettacolarità, con la sua grande capacità di intrattenimento e di contagio che risiede nella velocità e nella spontanea aggressività, è subito diventata la disciplina adatta in vista del 2022. La grande caratura di un campionato come la KHL, ha fatto il resto. Sciolte tutte le formalità tra marzo e maggio, il 25 giugno è arrivata l’ufficialità: anche l’hockey su ghiaccio comincia a parlare cinese. E l’espansione ad oriente non finisce qui, entro due anni c’è l’intenzione di portare una squadra anche a Seoul, nella Corea del Sud che è già qualificata alle prossime Olimpiadi invernali per quanto riguarda l’hockey ghiaccio, grazie al fattore nazione ospitante: Pyeongchang sarà la sede per l’edizione 2018 delle olimpiadi invernali. Un affare tutto orientale per le prossime annate. A tal proposito, la nazionale coreana si è già attrezzata da due anni con un’intensa attività di naturalizzazione di giocatori americani (qui la rosa coreana agli ultimi mondiali di San Pietroburgo, con 6 oriundi, a partire dal portiere).
Tornando però al Kunlun Red Star, resta lecito chiedersi qualcosa sul tasso tecnico della squadra: che roster verrà allestito? Quanti stranieri ci saranno? Tutti? Quanti cinesi? Le prime operazioni non lasciano molta chiarezza, ma indicano una strada ben precisa: per ora si contano 14 giocatori stranieri, soprattutto russi (5) e finlandesi (6). Proprio un finnico ha dato il via alla creazione dei Red Star: il difensore trentaduenne Janne Jalasvaara è stato il primo annuncio, ed è navigato nella serie (l’anno scorso a Sochi, prima alla Dynamo Mosca). Poi è stata la volta del portiere Tomi Karhunen, dal campionato finlandese e non solo, dai campioni del Tappara Tampere, dell’ala francese Damien Fleury, una carriera di successo in giro per l’Europa. Oltre a tutti gli stranieri, 14 giocatori cinesi sono in prova con la forma – tipica nell’hockey – del try-out, una sorta di provino. Tutti giovani giocatori tra i diciassette e i ventisei anni, dal giovanissimo Rudi Ying, che ritorna in Cina dopo un anno di training a Toronto, al classe 1989 Hao Zhang, che ha giocato tanto nel China Dragon, la squadra che rappresenta la Repubblica Popolare Cinese nella Asia League, il più importante torneo di hockey orientale (dove gioca anche una squadra russa, il Sakhalin, poco distante dal Giappone). La rosa non è al completo, ma ora desta tutta la curiosità degli addetti ai lavori. L’espansione cinese non si arresta, nell’hockey era già iniziata con la comparsa al Draft NHL di Andong Song, primo giocatore nato in Cina scelto da una franchigia americana, i New York Islanders, che lo opzionarono come 172esima scelta assoluta. Ora, nel secondo campionato di hockey più bello del mondo, arriva la Cina.