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Dragan Džajić, il Mago di Ub

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Dragan Džajić, il Mago di Ub

Compie oggi 77 anni Dragan Džajić, fenomenale mancino e leggenda del calcio jugoslavo. Vi raccontiamo la sua storia.

Se un giorno ci venisse in mente di scrivere, o riscrivere la storia del calcio con uno soltanto dei due piedi, invece che con la mano, quasi certamente sceglieremmo il sinistro. Semplicemente perché la poesia, come a scuola, rimane più impressa della prosa, alla lunga. E anche nella prosa di una partita, o di un intero torneo, alla fine i grandi mancini hanno sempre incastonato il proprio verso. Non necessariamente trovando la rima di un fremito di rete; ad alcuni di loro è bastato contare le sillabe giuste fino alla linea di fondo, ovviamente dal lato mancino, per intingere nel gesso il pennello che la natura cuce ad alcuni sotto la caviglia sinistra. Dopo cross di una certa fattura, i gol che ne conseguono sono soltanto il pretesto per conservare nella memoria il nome di chi ha recapitato in quel modo il pallone al marcatore.

Perché di alcuni poeti, o di alcune ali sinistre, qualcuno si dimentica? Sono i misteri dell’arte, ma anche per questo, anzi forse soprattutto per questo, ha un senso il nostro compito di raccontare certe storie rimaste a metà tra la gloria meritata sul campo e quella definitiva sancita dagli almanacchi.

A metà era divisa anche l’Europa, qualche decennio fa, con lo sport a fungere a volte da passaporto per valicare il Muro, a volte invece da termine di paragone. Di certo Dragan Džajić, nato nel 1946 a qualche decina di chilometri da Belgrado, l’Ovest e l’Est li mescolava di continuo a pelo d’erba, ogni volta che un difensore smarriva l’orientamento sotto l’effetto oppiaceo delle sue finte. E sarebbe stato lo stesso se fosse nato a qualsiasi altra latitudine; sotto qualsiasi altro cielo: altrimenti Pelé dopo averlo affrontato non si sarebbe lamentato del fatto che, incomprensibilmente a dire di O’Rey, non aveva visto la luce in Brasile. 

Forse la ragione sta nel fatto che  Džajić, con tutte le stimmate grafiche del suo nome che sembrano tradurre le complicanze del carattere slavo, più che il cielo, per nascere al calcio, dopo essere sbocciato alla vita, aveva scelto una stella. La Stella Rossa, dove anche Belgrado ha il suo Maracanà, solo scritto in modo diverso, con una k dura a ricordare che a ogni pallonetto morbido corrisponde un’entrata talmente dura da uccidere una finta, se non cogli l’attimo. 

Giudicate voi se Dragan Džajić colse o meno gli attimi che, vestito delle righe bianche e rosse della Crvena Zvezda:  590 partite, mettendo a segno 287 gol, grazie ai quali il club vince cinque campionati nazionali e quattro coppe di Jugoslavia. In mezzo, i due anni al Bastia, più Corsica che Francia: gol e scalata alla classifica, con il sorprendente terzo posto del 1977, possente e virtuosa spallata alle gerarchie consolidate del campionato transalpino.

Grande soltanto entro i confini di un calcio importante ma lontano dai riflettori? Chiedete a Bobby Moore, a Charlton, a Gordon Banks: chiedere all’Inghilterra Campione del mondo in carica dal 1966, che nel 1968 doveva far suo anche l’Europeo che si disputava in Italia. Quella volta, in semifinale, il cross dal fondo fu di Musemic: la palla scavalcò Moore e finì sul sinistro di  Džajić. Lo stop morbido, plastico al tempo stesso; il tiro fulmineo, sotto la traversa. Il giorno seguente, la stampa inglese era costretta ad omaggiare, nei titoli, “Il magico Dragan”.

Il Brasile d’Europa: così li hanno sempre chiamati finché sono stati una sola nazionale e forse in quell’Europeo del 1968 raggiunsero il meglio della propria storia, nonostante la sfortunata doppia finale contro l’Italia.

La classifica del Pallone d’oro del 1968 vide questo podio: George Best vincitore, poi Bobby Charlton, quindi terzo Dragan Džajić. Una classifica “ingiusta, insolente e vergognosa”. Sembrano parole di un tifoso o di un dirigente della Stella Rossa dell’epoca. Invece le pronunciò Franz Beckenbauer. 

Romano, 47 anni, voce di Radio Radio; editorialista; opinionista televisivo; scrittore, è autore di libri sulle leggende dello sport: tra gli altri, “Villeneuve - Il cuore e l’asfalto”, “Senna - Prost: il duello”, “Muhammad Ali - Il pugno di Dio”. Al mattino, insegna lettere.

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