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Donnarumma, la Maturità e le (facili) lezioni di vita che non ci possiamo permettere

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Gigio Donnarumma non ha sostenuto gli esami di maturità, un anno prima dei suoi coetanei, ma ha preferito rimandare tutto al prossimo anno e andare in vacanza ad Ibiza. Atteggiamento comprensibile direbbero alcuni, soprattutto i maturandi. Atteggiamento deprecabile hanno detto tutti gli altri, dai commentatori sportivi ai presidi che lo aspettavano in commissione.

Tra quanti si sono interessati della vicenda spicca l’interessamento della signora ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli che ha creduto che fosse il caso di intervenire con una lettera aperta per chiedere al ragazzo di tornare sui suoi passi, di non abbandonare la scuola, di puntare sull’istruzione. Nel farlo la signora Ministro sottolinea le magnificenze della riforma La buona scuola che “ha avviato una sperimentazione didattica che viene incontro alle esigenze delle studentesse e degli studenti che sono anche atleti”. Affermazione alla quale segue qualche dato che dovrebbe testimoniare quanto possa essere virtuoso il connubio tra pratica sportiva di alto livello e istruzione media superiore. Curioso che tale appello all’attenzione per i titoli di studio arrivi da chi ai propri titoli non è stata troppo attenta, peccando quanto meno di pressappochismo. È curioso anche, e forse di più, che un collega della signora Ministro Fedeli abbia suggerito ad una platea di ragazzini di frequentare di più i contesti sociali, come le partite di calcetto, piuttosto che infarcire il cv di titoli. Per trovare lavoro serve più andare a giocare a calcetto che inviare cv, aveva detto solo qualche mese fa il ministro del Lavoro Giuliano Poletti. Evidentemente questo vale solo per chi un lavoro non ce l’ha e per chi non guadagna 6 milioni di euro all’anno.

Gigio Donnarumma era un bersaglio troppo facile da impallinare per aspettarsi che l’avrebbe passata liscia. Avere la sfacciataggine di pensare che ci si possa permettere di non vestire il ruolo da bravo ragazzo, studioso, atleta attaccato alla maglia e anche dalle richieste economiche modeste è troppo. È troppo per non finire bersagliati dal pensiero benpensante, disposto a perdonare ogni nefandezza purché lo si chieda per cortesia mentre è mortalmente allergico alla sfrontatezza e all’irrequietezza della giovinezza. È troppo anche per chi è abituato ad autoassolversi ma si dimostra intransigente con gli altri, per chi l’eccellenza non sa dove stia di casa e stenta a riconoscerla negli altri e per chi, come la prof.ssa Elda Frojo, non ha perso l’occasione per “sporgersi da ogni foglio”.

Ha fatto bene Donnarumma a non sostenere gli esami di maturità? Questo lo capirà lui con il passare degli anni. Quello che stupisce è il silenzio che proviene da Casa Milan su questa faccenda. Se si può ritenere comprensibile l’indulgenza genitoriale non si capisce perché un datore di lavoro, il Milan, consenta ad un suo dipendente di finire nell’occhio del ciclone in maniera così sciocca. E trascinare anche il brand nel ridicolo. C’era una volta la “famiglia Milan” quella in cui, di riffa o di raffa, queste vicende si risolvevano in casa. Il nuovo corso asiatico invece non ha lo stesso piglio e non solo non riesce a trattenere con l’affetto un ragazzo cresciuto con i colori rossoneri ma non è neanche in grado di convincerlo a non bigiare la scuola. I tifosi rossoneri stanno assistendo ad uno spettacolo poco edificante e, a quanto pare, dovranno farci l’abitudine.

 

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