“È stato negli undici anni e otto mesi della presidenza di Dino Viola che la Roma divenne veramente ‘magica’, vincendo il memorabile scudetto del 1983 e cinque Coppe Italia, grazie anche a uomini del calibro di Liedholm, Falcão, Conti, Nela, Pruzzo e Di Bartolomei. Uomo dalla personalità brillante, famoso per l’ironia intelligente e la logica raffinata”. Questa la quarta di copertina di “Dino Viola, la prigionia del sogno” (Ultra Edizioni, 123 pagine, 14 euro), la prima biografia dedicata al compianto presidente giallorosso. Scritto da Manuel Fondato, giornalista e consulente per la comunicazione di aziende e istituzioni – “grande appassionato di calcio e tifoso della Roma” – il volume rende omaggio ad un uomo che rimarrà per sempre una figura di rilievo nella storia del calcio italiano. “Sono cresciuto con la Roma di Viola e sono sempre stato affascinato da questa persona carismatica, furba e raffinata”. Riprende l’autore: “A ventisei anni dalla morte non era stato ancora scritto nulla su di lui, anche per ragioni familiari. Io sono partito proprio dalla famiglia, dai figli che avevano vissuto accanto al padre quegli anni, dai loro racconti. Ho ascoltato molte testimonianze su quel periodo irripetibile, consultato giornali d’epoca e ricostruito minuziosamente gli undici anni della sua presidenza”.
Il risultato è una biografia approfondita e godibile, che ripercorre la vicenda umana e professionale di un presidente dalle caratteristiche uniche. Una figura, quella di Dino Viola, che lo stesso Fondato tratteggia come “un grande uomo, che incarnava mirabilmente una serie preziosa di qualità: dalla serietà all’abilità fino anche una certa scaltrezza nel perseguire i suoi obiettivi. Un leader che avrebbe potuto realizzare qualunque cosa”. Il libro si apre con una toccante lettera scritta da Federica Viola al padre il 9 maggio 1983. Una missiva battuta a macchina, nella quale la figlia del presidente dello scudetto 1982/83, di tre secondi posti e di cinque Coppe Italia, lo ringrazia per averle insegnato “cosa vuol dire volere una cosa a costo di lavorarci tanto, la diplomazia e la calma una volta conquistato il successo, la serenità nei momenti difficili, e forse anche quando bisogna avere i nervi, cioè al momento giusto”. Uno gesto d’amore, il suo, nei confronti di un padre che da presidente, il giorno dopo la finale di Coppa dei Campioni del 1984 persa a Roma, ai rigori, contro il Liverpool, si rivolse ai suoi tifosi così: “La Roma non ha mai pianto e mai piangerà: perché piange il debole, i forti non piangono mai”.
Un protagonista assoluto, che Fondato ha voluto omaggiare “aggiungendo alla realtà un pizzico di romanzo, per esempio nella figura del giornalista Pietro che è assolutamente fittizia. L’ho voluto raccontare narrando le giornate di partite paradigmatiche della sua presidenza, i grandi trionfi, le brucianti delusioni, i momenti del leggero declino”. E quando chiediamo all’autore se sarebbe impensabile, nel calcio di oggi, la presenza di un preside carismatico come Dino Viola, la risposta è immediata: “No, anche se lui era una perfetta sintesi tra il presidente di una volta, ovvero il tifoso, appassionato, che investiva e rischiava soldi suoi, e il presidente moderno, più manageriale. Non a caso quando Silvio Berlusconi si affacciò al mondo del calcio prese lui come modello”.