“Doppiamo salvaguardare la loro salute e la correttezza agonistica dello sport, questo è la nostra missione e sono convinto che in tal senso la Commissione stia facendo un lavoro accorto nella direzione giusta”. Con questo messaggio forte e inconfuntabile si esprime il Presidente del Comitato Antidoping del Coni Daniele Masala, nominato dal presidente Malagò nel novembre dello scorso anno. E’ la storia di un campione pulito e pluri-medagliato a livello europeo, mondiale ed olimpico nella sua disciplina, il Pentathlon, che ha reso celebre con le sue imprese a cavallo tra gli anni settanta e l’inizio degli ottanta culminati con lo straordinario oro olimpico di Los Angeles. Proprio per questo motivo la scelta è ricaduta su di lui sostiene Malagò, “è stato scelto perché volevamo un volto sportivo e romano che avesse una carriera irreprensibile, un vero modello per chi decide di affacciarsi al mondo dello sport agonistico”. Abbiamo avuto il piacere di incontrarlo per discutere questo suo primo anno di mandato in un settore chiave come quello del doping.
Buongiorno Daniele, io partirei da un bilancio di questo primo anno da Presidente.
E’ stato sicuramente un anno impegnativo per tutto il comitato che è composto da dieci persone e posso dire che il lavoro è stato molto approfondito e capillare. Purtroppo ha anche evidenziato il triplo delle positività rispetto all’anno passato. E’ una notizia da prendere non troppo negativamente perché testimonia una capacità più alta nel sanzionare chi gioca sporco a tutela di chi rispetta le regole pulite dell’etica.
Sei anche docente all’Università di Cassino dove insegni teoria e metodologia dell’allenamento. C’è nei giovani un’esasperazione del risultato a tutti i costi dovuto a un approccio differente verso la fatica degli allenamenti?
Innanzitutto c’è da dire che l’intensità del training moderno è salita a livello verticale sia fisicamente che psicologicamente aumentando il gap tra l’elite e i dilettanti. C’è chi cerca di colmare questo dislivello con pratiche illecite e il mio lavoro nell’università è teso ad educare i giovani creando prima delle persone e poi degli atleti. C’è da parte loro un grande interesse e un’enorme consapevolezza dovuta ai vari mezzi di informazione il nostro compito è di inculcare nella loro testa che il doping è una pratica che va perpetrata nel tempo per ottenere dei risultati con dei rischi futuri altissimi nel lungo periodo i cui danni possono essere incalcolabili
Una domanda sulle sfumate Olimpiadi romane è inevitabile.
E’ chiaro che col cuore dispiace, ma con la testa mi rendo conto delle difficoltà organizzative pazzesche alle quali saremmo andati incontro. Comunque non c’è da rammaricarsi oltremodo in quanto c’è un terzo punto che nessuno ha preso in considerazione e che riguarda le candidature concorrenti di Parigi e Los Angeles che sembrano molto forti e attrezzate. In quest’ottica posso dire che nessuno ci ha mai garantito che Roma avrebbe avuto sicuramente l’assegnazione definitiva. Personalmente non so se avremmo vinto per cui questo pensiero ci fa smorzare i toni evitando drammi e personalismi che fanno male allo sport nostrano.
Il tuo palmarès di atleta è spaventoso, hai vinto praticamente tutto. Un ricordo o un emozione che conservi dentro il cassetto?
Beh, ovviamente le vittorie sono tutte ricordi indelebili, ma io di quegli anni ricordo principalmente l’incredibile capacità di allenamento e lo straordinario dinamismo che legava gli atleti della nostra generazione. Avevamo uno strapotere psicofisico che ci permetteva di lavorare per otto ore di fila per poi andarci a divertire la sera a giocare a calcetto, una potenza e una consapevolezza dei nostri mezzi che ci ha permesso di ottenere grandi risultati. Oggi questo aspetto mi manca, mentre le emozioni delle gare sono uniche, ma legate a un momento che altro non era che la risultante di questa straordinaria preparazione.
Il discorso della prevenzione. Quanto è importante entrare nelle scuole e parlare ai giovani prima che sia troppo tardi? Il Coni in tal senso ha già avviato delle iniziative.
Sì il Coni sta facendo la sua parte sulla prevenzione, ma a mio avviso il discorso è più complesso e non va circoscritto al solo ambito scolastico. Il problema è più ampio e complesso e investe in prima persone le famiglie e gli allenatori che hanno aspettative troppo alte e inducono in tentazione i giovani atleti. Il concetto apparentemente innocuo dell’aiutino diventa poi sistema e in tal senso i circoli sportivi rivestono un ruolo fondamentale per gli atleti che trascorrono buona parte delle giornata con i loro formatori. Famiglia, scuola e istruttori sono i tre fattori che, agendo ognuno per la propria parte, possono scongiurare qualsiasi tipo di pratica dopante.
Per un’azione efficace contro il doping non si può prescindere dalle risorse economiche. Come siete messi?
Da questo punto vista devo dare atto al Generale Gallitelli, responsabile della NADO ITALIA dal settembre dello scorso anno, di aver ottenuto molte più risorse che noi stiamo spendendo in maniera mirata grazie ad un’ottima pianificazione strategica senza buttare soldi grazie anche all’accordo quadro tra Coni/NADO e Nas che ci affianca in molte delle nostre attività anche con un notevole lavoro di intelligence.
Domanda da sportivo che seguiva le gare di atletica negli anni ottanta. A quell’epoca si vinceva con Cova, Antibo, Simeoni e Masala. Oggi non siamo più competitivi. Perché?
E’ vero oggi non siamo più tanto competitivi, ma non esagererei; secondo me è un problema generazionale. E’ cambiata la società e nell’atletica, che si inizia a fare seriamente in età post-adolescenziale a differenza di nuoto e ginnastica che vanno iniziate in età precoce, molti ragazzi ai tempi d’oggi hanno già fatto le loro scelte unito al fatto che le distrazioni e i momenti di intrattenimento odierni sono un deterrente sensibile, cosa che i vari Cova & company all’epoca non avevano facendo dello sport una ragione di vita. La federazione può poco in tal senso, c’è da chiedersi perché oggi ad un quindicenne non passa nemmeno per la testa di fare atletica, è questo il problema. Ritornerei a un problema di cultura sportivo/agonistica che stenta a decollare.
Per chiudere due domandine veloci: da grande che farai? Che consigli dai oggi a un ragazzo che crede nei valori puliti dello sport?
Da grande continuerò a fare quello che sto facendo, è appena uscito un nuovo libro e sto lavorando allo script di un programma televisivo, sto mettendo a punto un’enciclopedia on-line e poi vorrei anche dedicare un po’ di tempo in più a me stesso. Ai giovani che si affacciano allo sport dico due cose: divertitevi e fate sport col sorriso sulle labbra come ho fatto io, mentre l’altra è una massima del mitico De Coubertin “lo sport è un diritto di ogni uomo e di ogni donna e la sua mancanza non verrà mai compensata”.