Dall’Autogestione alla Serie A: quanto è importante il ruolo dell’Oratorio

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Dall’Autogestione alla Serie A: quanto è importante il ruolo dell’Oratorio

Il 31 Gennaio 1888 moriva Don Giovanni Bosco, fondatore della Congregazione dei Salesiani. Un uomo sempre attento ai giovani e alle loro condizioni di vita, spesso già coinvolti nella vita lavorativa con mansioni pesanti  in tenera età. Erano per lo più figli di immigrati, carcerati o poveri. Per loro aprì le porte dell’Oratorio, luogo in ogni ragazzo ha dato i primi calci ad un pallone e dove lo Sport ha ancora una funzione educativa.

Il primo oratorio moderno fu istituito da San Filippo Neri intorno al 1550, con l’intento di creare una comunità di religiosi e laici. Sulla scia di Filippo Neri, nacque l’idea di Giovanni Bosco nel 1841. La sua passione educativa per i giovani lo portò ad avvicinare sempre più ragazzi. Nel giorno di Pasqua del 1846 l’Oratorio si stabilì sotto una dimora che presentava anche un pezzo di prato, la tettoia Pinardi a Valdocco. Dall’esempio di Don Bosco, l’Oratorio è diventato sempre più luogo di aggregazione e formazione, sia religiosa che umana. Le strutture si sono attrezzate ed ingrandite e si sono diffuse per tutta Italia.

L’oratorio si può chiamare senza dubbio la casa dei giovani. Era ed è tutt’ora il luogo dove i ragazzi possono sfogare le loro passioni, liberi da pressioni e giudizi. La filosofia che contraddistingue questo centro aggregativo è la scelta educativa di anteporre sempre i valori e il divertimento al risultato, a tutti i livelli. Anche nello sport questa regola è stata messa a frutto e non viene mai dimenticata.

L’oratorio ha sempre avuto un rapporto molto stretto con il calcio. Sin dagli inizi veniva proposto ai ragazzi come mezzo di aggregazione ma soprattutto di crescita personale. Con il passare degli anni, sempre più ragazzi si appassionavano a questo gioco sino a far nascere delle vere e proprie squadre dell’oratorio. Lo spirito aggregativo e giocoso dava la possibilità a tutti di poter cimentarsi in questo sport, senza preclusioni.

Questo spirito sportivo ha lasciato dei segni indelebili nella crescita e nella valorizzazione dei giovani. Molte altre associazioni hanno cercato e cercano tutt’oggi di portare al loro interno questo stile di convivialità con i giovani sportivi. Non tutti però riescono ad ottenere risultati. I genitori maleducati e convinti di avere il figlio fenomeno, gli allenatori poco educatori, i ragazzi pieni di sé e con poca umiltà, i dirigenti esaltati e strafottenti hanno allontanato sempre di più questi ideali di sportività e rispetto, tanto belli quanto sempre più irrealizzabili.

Nonostante la fatica sia tanta, c’è chi non vuole gettare la spugna ma anzi, vuole continuare a seminare il bene, per la crescita e il futuro di ragazzi e giovani. I progetti che si auspicano il mantenimento di questi valori ci sono e di certo non smetteranno di esserci e di portare i loro frutti.

Uno di questi è quello intrapreso dalla società Sassuolo Calcio, che ha deciso di affidare i giovani della categoria esordienti a se stessi. Ma come? Così giovani lasciati soli ad autogestirsi? Ebbene sì. Il progetto è partito nel 2016 durante un torneo che la squadra ha disputato a Gallipoli. I giovani si sono allenati (e si allenano tutt’ora così) con l’allenatore, ma poi alla domenica e durante le partite scendono in campo da soli, senza nessuno che gli dica cosa fare o cosa dire. Una libertà che viene curata e gestita durante la settimana con i consigli del mister e che poi viene messa alla prova alla domenica in campo. Un rischio? Un errore?

Quanto sperimentato in Puglia dalla società emiliana è qualcosa di nuovo, uno dei primi passi dell’accordo siglato tra Sassuolo e La Giovane Italia, iniziativa di Sky per promuovere i vivai azzurri. L’idea fondante è quella di riportare il calcio giovanile a quell’atmosfera da oratorio in cui prima vengono i valori e il divertimento dei giovani e poi il risultato. Un processo delicato ma importante, che si prefigge di arrivare a far capire che il risultato è frutto del lavoro, ma non per questo deve arrivare a tutti i costi. L’allenatore viene riportato al suo ruolo principale, quello di educatore prima di tutto, un coordinatore che sa ascoltare e comprendere, che sa elogiare e confortare, tralasciando il ruolo di autoritario che impone le sue decisioni.

Costruendo insieme il percorso che porta ad allenarsi con entusiasmo e serietà, a disputare le partite con sportività e rispetto, a coltivare un rapporto amicale e costruttivo con i compagni, i ragazzi riusciranno a non far mancare mai, nel bene o nel male, il loro supporto e le loro capacità per il bene di tutti. Se l’aria che respirano è buona e positiva, difficilmente cercheranno di intossicarla. Al contrario saranno capaci di far sì che rimanga pulita, sana e fresca.

Spesso si pensa che i ragazzi non meritino fiducia e che non possano guadagnarsela, ma se li si ascolta (invece di tappargli bocca e “ali” con continui giudizi e rimproveri) e se gli si dà voce, vedendo e sentendo di avere davanti persone che si fidano e credono nei loro doni unici e irripetibili, forse lo stupore che può scaturire un simile progetto diventerebbe comune, semplice e quotidiano, con una felicità viva, vera e appagante, per tutti.

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