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Dalla “Marmelada Peruana” al sogno Mondiale: la Blanquirroja torna nel calcio che conta

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Dopo la vittoriosa partita di Lima contro gli All Whites neozelandesi per 2 a 0, la nazionale peruviana tornerà sul palcoscenico calcistico più importante dopo aver assistito da spettatrice a ben otto edizioni dei campionati mondiali. E’ infatti dalla spedizione in Spagna del 1982 che la Blanquirroja non riusciva a qualificarsi per la fase finale della manifestazione. Trentacinque anni di attesa che il popolo peruviano ha vissuto ai margini delle vicissitudini delle consorelle più blasonate: Brasile, Argentina e Uruguay, la trinità del futbol sudamericano, uniche realtà del panorama calcistico mondiale capaci di mettere in discussione la pragmatica potenza del calcio europeo. Trentacinque anni nei quali affondare per ritrovare pezzi di storia calcistica che costituiscono cimeli da veri appassionati. A partire, in maniera forse impropria, dalle divise della Blanquirroja: quella maglia bianca con la banda diagonale rossa costituiva un vezzo quasi elitario per tutti i giocatori di Subbuteo che, nel 1982, la potevano schierare.

Sempre a trentacinque anni fa risale l’arrivo in Italia di due calciatori della nazionale sudamericana: Geronimo Barbadillo e Julio Cesar Uribe. Più folkloristico il primo, di maggior spessore il secondo, approdarono nei rispettivi club, Avellino e Cagliari, senza troppo clamore, risultando alla fine protagonisti importanti per le rispettive squadre. Barbadillo era una tipica ala: fisico asciutto, gambe arcuate, efficace in progressione e destro di piede, anche se amava lavorare sulla sinistra per poi accentrarsi e provare il tiro. Dopo tre anni in Irpinia si trasferì a Udine nel 1985 per giocare il suo ultimo campionato da professionista.
Uribe, all’approdo in Italia, veniva considerato il miglior calciatore sudamericano in attività dopo Maradona e Zico. Nel Cagliari rimase tre anni, collezionando undici reti in sessantanove incontri. Entrambi facevano parte della selezione che per ultima partecipò alla fase finale di un mondiale, quello spagnolo dell’82 come detto. Entrambi erano in campo il 18 giugno di quell’anno a Vigo contro l’Italia nel momento in cui Paolo Rossi non era ancora ritornato Pablito. Un’Italia stanca, sfiduciata, fiaccata dalle polemiche venne fermata sul pareggio dalla Blanquirroja nella quale, al 65° minuto, Uribe e Barbadillo vennero richiamati in panchina contemporaneamente, quasi che il loro destino fosse inesorabilmente allineato a un inesplicabile percorso comune che, di lì a poche settimane, li vedrà sbarcare in Italia.



La partita di commiato non fu delle migliori: un pesante 5-1 per mano di una straripante Polonia cancellò il Perù dai fase finale dei mondiali per trentasei anni. Un’uscita di scena in ogni caso meno scabrosa di quella messa in scena quattro anni prima in quel di Rosario, Argentina, quanto la Blanquirroja capitolò non senza lasciare adito a più di un sospetto davanti ai padroni di casa che, per guadagnare la finale ai danni degli eterni rivali brasiliani, avevano bisogno di vincere con almeno quattro gol di scarto. Detto fatto, con l’aggiunta degli interessi: uno 6-0 finale nel quale Luque, Kempes e compagni fecero la festa al portiere Quiroga, di nazionalità argentina prima ancora che peruviana, nativo proprio di Rosario. Una pantomima che, seppur mancante di prove inoppugnabili, ha lasciato sempre adito a più di un sospetto, tanto da passare alla storia col termine di “marmelada peruana”: ogni appassionato di calcio sa che quando si parla di questo non si fa riferimento a una specialità gastronomica locale ma a quella sconcertante prestazione. Anche se, proprio di recente, Mario Kempes, mattatore della serata, ha lanciato il dubbio che fossero stati i brasiliani ad offrire un premio al Perù per battere l’Albiceleste. Una storia che probabilmente non troverà mai riscontri documentali, rimanendo avvolta nei dubbi di racconti e supposizioni.

Il Perù che tornerà ad essere protagonista in Russia corre il forte rischio di dover rinunciare al suo elemento di maggior spicco: il centravanti Paolo Guerrero, dal 2015 in forza al Flamengo, risultato positivo all’antidoping nella gara disputata contro l’Argentina nello scorso mese di ottobre. La Blanquirroja ha saputo sopperire alla sua assenza nello spareggio di qualificazione contro la Nuova Zelanda ma il livello tecnico dell’avversario ha reso più agevole il compito al selezionatore Ricardo Gareca e ai suoi ragazzi. Gli avversari in Russia saranno sicuramente più temibili e l’eventuale rinuncia forzata a Guerrero, oltre a determinare un danno tecnico, creerebbe una lacuna di leadership all’interno della squadra. Guerrero, in patria, è adorato da tutti; la sua maglietta è l’unica dei calciatori della nazionale che i negozi e le bancarelle espongono per strada insieme a quelle dei più celebri campioni del calcio mondiale, da Messi a Neymar. Un tributo di riconoscenza per aver dato lustro al Perù in giro per il mondo (prima dell’esperienza brasiliana, Guerrero ha giocato in Germania, prima nel Bayern Monaco e successivamente all’Amburgo).
Almeno oggi, però, Lima mette da parte le preoccupazioni per lasciare spazio alla festa. Per avere anche Guerrero in Russia bisognerà giocare un altro spareggio tra avvocati e giudici. Comunque vada, il Perù, a differenza dell’Italia, sarà un protagonista della ventunesima edizione della Coppa del Mondo.

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