Da una parte Londra, con le sue luci, la sua frenesia e le sue notti patinate e alla moda, dall’altra l’Inghilterra dello Yorkshire e delle Midlands, con le sue industrie e la durezza della gente cresciuta sotto il cielo grigio. Da una parte la Premier League, con i suoi stadi sempre pieni di gente compostamente seduta e in cerca di emozioni forti ma raffinate, dall’altra il football inglese delle serie minori, fatto di sudore e tackle da uomini duri. Fare il salto dall’una all’altra dimensione non è facile, soprattutto quando a 23 anni sei ancora un calciatore dilettante e per mantenerti devi fare i turni in fabbrica, e la Nazionale la guardi giocare in Tv, quando ne hai il tempo.
Jamie Vardy non avrebbe mai immaginato che, solo pochi anni dopo, un manager italiano che di nome fa Claudio Ranieri, e che in passato ha allenato tra le altre Chelsea, Juventus, Fiorentina e Roma, potesse riferirsi a lui proferendo queste parole: “Mi ricorda Batistuta, che ho allenato a Firenze nella stagione 1994/95. Jamie è fantastico in questo momento”. Ma prima di diventare il Bati-gol d’Oltremanica l’attuale numero 9 del Leicester di strada ne ha dovuta fare molta, e raramente si è trovato davanti un rettilineo.
Quando Vardy nasce, nel 1987, la sua città, Sheffield, si è da poco rassegnata alla decisione dell’allora primo ministro Margaret Thatcher di chiudere la maggior parte delle miniere di carbone della zona: il durissimo sciopero del 1984/85 che ha coinvolto circa 165 mila minatori non ha portato ai risultati sperati, e il sindacato di categoria ne è uscito fortemente indebolito. E’ nel contesto sociale piuttosto depresso di uno dei quartieri meno nobili di Sheffield che il piccolo Jamie cresce ed inizia a dare calci al pallone. Il suo sogno è giocare per lo Sheffield Wednesday, storico club nel quale alla fine degli anni 90 ha militato anche Paolo Di Canio, ma dopo due anni nelle giovanili degli ‘Owls’ (‘Gufi’) non viene confermato, e inizia così il suo girovagare per le serie minori. Il suo ruolo è attaccante: di gol ne fa, e anche tanti, ma la chiamata di un club di categoria superiore tarda ad arrivare.
Nello stesso periodo Vardy va incontro a problemi con la giustizia: condannato per una rissa fuori da un pub (nella quale è coinvolto per difendere un amico, schernito per il suo apparecchio acustico), è costretto ad indossare una cavigliera elettronica per sei mesi.
Vardy si divide tra campo e fabbrica e, quando ha già compiuto 23 anni, c’è la prima vera svolta della sua carriera: lo prende l’Halifax per giocare nella Northern Premier League (la settima serie inglese), e Vardy ripaga la fiducia con i gol che valgono il primo posto e la promozione. Pochi mesi dopo lo ingaggia il Fleetwood Town per giocare nella Conference Premier (quinta serie), un salto non indifferente. Il presidente del club, Andy Pilley, racconterà anni dopo il perché di questa decisione a sorpresa: “Mi ricordo di avere ricevuto una chiamata dal nostro fantastico talent-scout Carl Garner, durante la quale mi ha spinto a prendere questo ragazzo dicendomi queste parole: ‘Mark, parola mia, lui giocherà per l’Inghilterra’. Per la Nazionale dei Tre Leoni è ancora presto, ma intanto si fa notare a forza di reti: alla fine del campionato saranno in tutto 31.
E’ l’estate del 2012, e ciò che sembrava impossibile si realizza: il Leicester, club di Championship (la nostra Serie B) lo acquista per un milione di sterline più bonus (record per la categoria da cui proviene), e l’avventura di Vardy tra i professionisti può finalmente iniziare. La prima stagione è di assestamento, ma nel 2013/14 arriva la definitiva esplosione: con 16 gol in 37 gare trascina i ‘Foxes’ (‘Volpi’) alla promozione in Premier League, che si traduce nell’occasione di giocare nel salotto buono del calcio britannico. Artefice dell’impresa è il manager che anni prima aveva visto in Vardy le caratteristiche di bomber di razza adatto alle categorie d’elite, ovvero Nigel Pearson, che durante la prima non entusiasmante stagione in Championship aveva sempre sostenuto il suo pupillo. Il primo sigillo in Premier League non arriva contro una squadra qualsiasi: a farne le spese è infatti il Manchester United, clamorosamente sconfitto 5-3. A fine stagione le reti non sono tante, cinque in tutto, ma bastano per realizzare la profezia del buon Garner: nell’amichevole tra Irlanda e Inghilterra dello scorso 7 giugno, Hodgson lo manda in campo nel quarto d’ora finale al posto di Wayne Rooney.
Sembra andare tutto alla grande, ma due episodi minacciano di condizionare l’ascesa del centravanti: a fine giugno Pearson viene mandato via dal club, probabilmente a causa del comportamento del figlio, coinvolto a Bangkok con altri due giocatori del Leicester in uno scandalo provocato dalla diffusione del video di un’orgia con delle ragazze thailandesi (cui rivolgevano degli insulti razzisti). Poche settimane dopo, è Vardy stesso a finire nel mirino, per un diverbio dentro un casinò con un uomo di origini asiatiche, per il quale è accusato di razzismo. Ma Ranieri, che da poco è il nuovo allenatore della squadra, lo perdona, e Vardy può iniziare il suo incredibile periodo di gloria.
Giornata dopo giornata il suo nome finisce sulla bocca di tutti: gonfia la rete per undici match consecutivi (battendo il record della Premier League di Ruud van Nistelrooy, che risaliva al 2003, e dominando la classifica cannonieri) e trascina clamorosamente il Leicester in vetta al campionato. Una cosa del genere, in Italia, era riuscita a Gabriel Batistuta 21 anni fa: e se Ranieri dice che il suo attuale centravanti gli ricorda l’argentino ne ha pienamente diritto, visto che all’epoca era lui l’allenatore di quella Fiorentina. Ma questa storia è lontana dalla sua conclusione: la corsa di Vardy verso l’elite del calcio continua, e c’è chi, come Ian Wright, in lui vede il Totò Schillaci inglese. La Premier League e soprattutto l’Europeo della prossima estate in Francia ci diranno se l’ex bomber dell’Arsenal ha ragione sul suo più giovane collega, che spera di continuare a ripercorrere le orme del capocannoniere di Italia ‘90. In attesa della chiamata di una big, magari da Londra.
FOTO: www.ibtimes.co.uk
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