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Dal Tennis in carcere a quello in carrozzina, parla un maestro: “Allenavo i professionisti ma resto un eretico”

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Oggi parlerò in prima persona o, meglio, oggi mi faccio una bella intervista.

Salve Maestro Ciabocco, possiamo ancora chiamarla Maestro?

Sicuramente sì, ma diamoci del tu altrimenti non riesco a comunicare. Ho un enorme piacere a essere ancora chiamato Maestro anche se oramai sono tanti anni che, purtroppo, non insegno più.

Senti Andrea, allora, ti manca il tennis?

Accidenti, mi manca eccome! Mi manca il contatto con i ragazzi, mi manca la terra rossa sui calzini, mi mancano le infinite chiacchierate sul futuro…In realtà con i miei ragazzi, con molti di loro, sono rimasto in contatto. Sono oramai adulti, sposati, hanno figli che giocano a loro volta a tennis o che fanno comunque sport e con diversi di loro mi confronto per avere io, oggi, consigli su miei progetti odierni che non hanno nulla a che vedere col tennis ma che possono giovarsi delle loro competenze che spaziano dal giornalismo alla psicologia. Continuo attraverso la televisione e i social a tenermi aggiornato e tra poco uscirà un libro sulla storia dei miei ragazzi del Mellano senza tralasciare anche l’esperienza della Madonnetta.

Ma è vero che alla Madonnetta c’erano i campetti per il minitennis?

Prima ancora dei campi in terra rossa abbiamo costruito una piastra in asfalto con 8 campetti da minitennis di diversi colori e di 2 diverse grandezze. Lo spazio ideale per l’apprendimento giocoso del tennis e ottimo anche per abbattere i costi poiché un bravo maestro, e penso di esserlo stato, riusciva a tenere da solo 16 bimbi. A ognuno lo spazio e l’attrezzo, racchetta e palla, giusto per le proprie capacità. Avevamo una casetta magica nella quale c’erano le manone, dagli USA, le racchette di plastica, dalla Francia, e poi racchettine di tutte le grandezze e palle da tennis depressurizzate ma anche in gomma piuma sia piccole che grandi come un pallone di calcio.

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Una meraviglia, immagino, che sarà stata presa ad esempio, spero?

Che io sappia proprio no. Sono venuti diversi tecnici federali a vederli ma poi, in concreto, non credo che mai nessuno abbia fatto qualcosa di simile. Per varie ragioni oggi non ci sono più ma sono rimasti immortalati da centinai di foto e hanno contribuito ad appassionare decine e decine di bimbi.

Quali esperienze professionali, tra le svariate di tutti i tuoi anni di insegnamento, ti hanno particolarmente segnato?

Ho avuto la fortuna di lavorare a livello agonistico e anche con molte soddisfazioni però le esperienze vere, di vita, le ho fatte con un altro tennis. Se dovessi fare una classifica al primo posto i bimbi, poi i corsi adulti per arrivare alle mie esperienze “diverse” ossia il tennis al Carcere Penale di Rebibbia e al Carcere Giovanile di Casal del Marmo  e con il tennis in carrozzina e con i tennisti con diversa abilità intellettiva.

Hai quindi insegnato veramente a tutti!

Il tennis, lo sport in generale, è vita, relazione con l’altro, con tutti gli altri. Non c’è differenza tra un tennista in carrozzina e uno al campo in cemento di Rebibbia. La relazione è la stessa.

A Rebibbia ho conosciuto persone motivate, attente, che, attraverso lo sport, hanno percorso una strada di riabilitazione sociale. Grande soddisfazione ascoltare Augusto dirmi “grazie per quello che fate per noi, avessi avuto da giovane la possibilità di avvicinarmi allo sport non sarei qui oggi!” e, purtroppo, grande amarezza leggere pochi mesi fa che uno dei “miei” ragazzi, una volta uscito, era ricaduto in un brutto giro e che era stato arrestato di nuovo.

Col tennis in carrozzina ho avuto la fortuna di allenare giocatori di livello mondiale e di lavorarci insieme a mio figlio che, nel tempo, imparando a giocare in carrozzina, mi ha fornito competenze che da “in piedi” è impossibile avere. “esistono gli stronzi in piedi e quelli in carrozzina. Io sono uno stronzo in carrozzina e quindi trattami come tale!” questo mi disse un atleta che trattavo in maniera troppo morbida. Che lezione di vita. “E’ quando mai avrei potuto girare il mondo se non fossi stato in carrozzina a giocare a tennis!” mi disse un altro per spiegarmi quale deve essere l’approccio alla vita prendendo tutto, anche la disabilità, come una enorme opportunità.

E della tua esperienza di formatore?

Ho avuto la fortuna di poter mettere le mie conoscenze a disposizione di chi voleva avvicinarsi all’insegnamento e, sinceramente, credo di aver imparato di più io dai miei aspiranti istruttori di quanto loro possono aver appreso da me. Sono stato aspramente criticato per la mia eccessiva “bontà” a valutare le capacità e le attitudini all’insegnamento di chi arrivava all’esame finale ma credo che la professione di insegnante di tennis non debba essere freddamente irregimentata in regole che non hanno nulla a che vedere con la capacità di insegnare. Ho avuto bellissime esperienze di insegnamento con persone che a malapena sapevano tenere la racchetta in mano e tristissime esperienze con presuntuosi ex giocatori che tutto potevano fare meno che insegnare.

Ho fatto il formatore per la Lega Tennis Nazionale che si è affermata negli anni per aver promosso una alta qualità nell’insegnamento primario avendo come colleghi e amici Alberto Castellani, Erasmo Palma, Giacomo Paleni, Claudio Pistolesi e tanti altri formatori di eccezionale livello. Siamo stati il contraltare alla formazione della Federazione Tennis troppo spesso ferma su vecchi modelli  e poco aperta all’innovazione. Ho partecipato a un processo di liberalizzazione dell’insegnamento contribuendo all’idea che ognuno deve poter essere libero di scegliere e costruire il proprio percorso di formazione. Sono convinto che quello che in Italia servirebbe sarebbe una Associazione Insegnanti di Tennis che dovrebbe riunire sotto un unico tetto tutte le qualifiche esistenti garantendo e certificando i diversi percorsi di formazione e non tante parrocchie dove ognuno pensa di stare in quella più valida. Aggregare e non dividere e per questo servirebbe una maggiore coscienza collettiva. Purtroppo oggi non è cosi e risalta pesantemente la subordinazione dei Maestri Federali alla Federazione in cambio di una presunta tutela e la libera identità degli Istruttori Uisp che lottano per mantenerla. E’ strano che ci sia una maggiore identità come insegnanti negli istruttori di Ente di Promozione Sportiva che in quelli federali.

Come la finiamo questa intervista?

Con un augurio che in futuro il tennis e l’insegnamento del tennis possano essere veramente liberi in un quadro chiaro dove chi vive del tennis possa lavorare serenamente.

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