Il financial thriller in salsa pugliese sembrava essersi consumato per intero all’alba dell’ultima estate. E sembrava averlo fatto compiendo l’arco tipico di certe narrazioni e di certe ascese da film hollywoodiano: era iniziato con la teatralità con cui, nel corso dell’asta fallimentare del maggio di due anni fa, Gianluca Paparesta aveva fatto suo il Bari per 4,8 milioni di euro, in un’aula di tribunale gremita di giornalisti e tifosi, masticando una gomma con l’aria di chi sa bene come andrà a finire con l’ultimo colpo di martelletto. Ed era finito con un altro colpo di teatro (e di mano) a giugno di due anni dopo, con la vana caccia fino all’ultimo minuto dei fondi necessari per respingere il forcing dell’azionista di minoranza, Cosmo Giancaspro, dopo il rovinoso fallimento della trattativa di cessione del club al malese Datò Noordin.
Era finita in una sera tumultuosa, con un’assemblea dei soci accesissima, in cui Paparesta contestò le modalità di ricapitalizzazione di Giancaspro, prima della resa, e dell’ufficialità del Bari nelle mani dell’imprenditore molfettese.
Sarebbe finita. Perché, ribadendo le perplessità su quell’operazione, Paparesta, attualmente socio di minoranza con quote vicine all’1%, è tornato all’attacco. E il financial thriller diventerà nei prossimi mesi legal drama.
Paparesta porta Giancaspro in tribunale, e l’obiettivo è chiaro. E non è quello di ottenere rimborsi. “Voglio che un giudice mi dica se ho diritto a conservare le azioni di proprietario o se invece l’operazione di ricapitalizzazione era giusta. Non chiedo rimborsi, ma il ripristino della situazione societaria a come era prima di giugno”: così ha detto l’ex arbitro nel corso della conferenza stampa di inizio novembre, annunciando l’azione legale nei confronti dell’amministratore biancorosso e 28esimo presidente della storia del Bari.
“Io qui ci vivo, non sono scappato”, rivendica con orgoglio Paparesta, dopo il silenzio successivo a un lungo post di saluti su Facebook, a qualche giorno dal passaggio di mani della squadra biancorossa. “La mia famiglia vive qui, in tre anni ho perso vita, risorse e patrimonio passato e presente”. Il riferimento è ai diversi prestiti ricevuti dalla Banca Popolare di Bari, ed ipoteche su proprietà immobiliari personali dell’ex presidente.
Paparesta avrebbe potuto conservare il comando, anche dopo l’arenarsi della trattativa con Noordin: questa la tesi del professor Vincenzo Donadivi, a capo del pool di avvocati che assiste Paparesta, che spiega come “un gruppo solido di imprenditori sarebbe stato già pronto a giugno”. E lo sarà nel caso in cui il contenzioso con Giancaspro andasse a buon fine, spiega il legale. Continua ad affermare dunque la versione della prima ora Paparesta, secondo il quale fu decisiva, in quel passaggio di mano del Bari, la pressione di Giancaspro a giugno, e non l’autogol con Noordin, protagonista di una trattativa gestita mediaticamente e di un preliminare di acquisto mai onorato. E nei confronti del quale, peraltro, il team legale dell’ex presidente afferma di valutare altre azioni legali. Ma, secondo Paparesta, anche dopo la smaterializzazione del malese, i soldi c’erano, e i tempi anche, per garantire un futuro al Bari.
Lo deciderà un giudice, nel corso di mesi tormentati anche sul campo per i biancorossi, che se la passano tutt’altro che bene, impelagati all’undicesimo posto in Serie B e reduci dalla sconfitta di Latina costata la panchina a Stellone. In attesa di capire se la cura Colantuono sarà utile a scuotere la squadra, all’orizzonte si stagliano la nuova guerra tra i due ex soci, mesi caldissimi, e un futuro tutto da scrivere. “Da queste parti pensavano di averne viste di tutti i colori”, scrivevamo lo scorso 23 giugno, raccontando il contropiede di Giancaspro, e la detronizzazione di Paparesta. Non era che il primo tempo del film.