Scusaci, Dani. Se avevamo pensato che fossi venuto in Italia a svernare: ma devi capirci, gli esempi negli ultimi anni non erano mancati, e il Belpaese, nonostante tutto, resta pensione ben più dorata degli Emirati Arabi.
Scusaci, Dani. Se avevamo creduto che giocare da difensore a 4 in Italia avrebbe fatto venire alla luce i tuoi difetti in fase difensiva, quella che in Catalogna raramente i difensori blaugrana sono costretti ad applicare quando si gioca la Liga.
Scusaci, Dani. Se avevamo ritenuto che la Juventus avesse suonato nella sinfonia di parametri zero diventati presto dei leader (vedi alle voci Barzagli, Pirlo e Pogba) una nota stonata, distante dallo spartito di Massimiliano Allegri e tanto pregiata quanto avulsa dall’orchestra.
Questo mea culpa è di chi scrive, ma in tanti –ne siamo certi- avranno avuto gli stessi dubbi e simili facile ironie su Dani Alves fino allo scorso febbraio, quando il difensore brasiliano classe 1983, arrivato in estate in Piemonte per apportare con Pjanic e Higuain quel tasso di classe che separava la Vecchia Signora dal podio europeo, appariva un corpo estraneo, al quale la frattura del perone rimediata nel rovinoso ko incassato dalla Juventus a Marassi contro il Genoa il 27 novembre pareva aver anche sottratto lucidità fisica. A dirla tutta, Dani ci aveva messo nel suo a corroborare la mole (con la “m” minuscola) di pensieri che aveva spinto al ritorno da titolare di Lichsteiner, con valigia in mano fino al gong del calciomercato estivo, e alle critiche nei confronti del numero 23. Irriverente nei dribbling nei pressi della propria area di rigore, svogliato in fase difensiva, poco incisivo nel 3-5-2 e impalpabile nel 4-3-1-2: tacendo della prova da terzo centrale di difesa, ciccata in coppia con Allegri, proprio nell’1-3 contro il Genoa. E fin qui si racconta la prima parte di Dani Alves, in versione Davide.
Dani “Golia” Alves è venuto fuori nel 2017: per essere più precisi, dal 22 febbraio 2017. Estadio do Dragão di Oporto, andata degli ottavi di finale di Champions League. Padroni di casa del Porto in 10 per il cartellino rosso rimediato nel primo tempo da Alex Telles, Juventus giù di giri e sprecona: dalla panchina ecco Pjaca e Dani Alves. Il primo sblocca i giochi al 74’, il secondo raddoppia e blinda il pass per i quarti due minuti dopo. E’ il primo ruggito del vecchio leone che sente l’aria della primavera, quella che per i campioni coincide con le partite decisive. Quelle nelle quali l’esperienza e la classe contano, eccome. Lo ha capito anche il suo allenatore, che dopo averlo schierato tra i titolari per cinque partite di fila in campionato dal 17 febbraio al 19 marzo, lo ha chiamato in causa solo tre volte, di cui una dal 1’, nelle ultime sette partite di serie A. “Mi servi negli scontri diretti” il messaggio chiaro e forte.
Lavora con il sorriso, Dani: lo racconta su Instagram, lo assicurano i suoi compagni. “La sua allegria sudamericana e il suo sorriso ci trasportano – ha spiegato Claudio Marchisio – arrivando da un campionato diverso, Dani si è dovuto adeguare al nostro gioco. Per lui parla il palmarès: ha vinto talmente tanti trofei e ha talmente tanta esperienza e personalità che è sicuramente un punto di forza di questa Juventus“. Nei quarti di Champions League ha messo in riga per 180 minuti il connazionale Neymar, giocando da terzino. Ma Dani, 27 reti e decine di assist in carriera, non è solo difesa: anzi. Chiedere conferma al Monaco. Tre assist e una voleè vincente, i piedi sulle quattro reti che hanno spedito la Juventus a Cardiff.
La stagione bianconera è già eccellente, ma può diventare leggendaria, con la possibilità di fare il triplete. Missione già riuscita due volte a Dani Alves, alla pari di pilastri del calcio mondiale come Eto’o, Messi, Busquets, Iniesta, Piqué, Xavi e Pedro. Tutti già fuori dalla corsa, se non lontani dai campi ormai. Per questo, nella notte del 3 giugno Dani Alves avrà un motivo in più per cercare di battere il Real Madrid. Scrivere la storia, come gli riesce ormai da 15 anni.
Scusaci, Dani. Se avevamo pensato che fossi venuto in Italia a svernare: a ben pensarci, poi, perché un brasiliano vissuto per anni tra Siviglia e Barcellona avrebbe dovuto scegliere Torino per farlo?
LUCA GUERRA