Domenica 26 giugno, ore 20.00, MetLife Stadium di New York: fischio d’inizio della finale della speciale edizione Centenario della storica Copa America. L’Argentina di Leo Messi si appresta a sfidare i campioni in carica del Cile un anno dopo aver perso la finale proprio contro la Roja.
Stavolta, tutto sembra propendere per la vittoria della selezione albiceleste: un Messi finalmente decisivo anche in nazionale ed in forma strepitosa, per non parlare di Higuain che ha proseguito anche nella manifestazione americana l’eccezionale striscia di gol cominciata nell’agosto precedente con la maglia del Napoli. Ogni elemento pare stare al posto giusto per tornare ad alzare un trofeo dopo anni di sofferenze.
La storia, però, poco più di due ore dopo dirà il contrario, dando inizio ad un’escalation ravvicinata di disastri nel calcio argentino che difficilmente si può ritrovare in passato.
Il miglior calciatore al mondo, infatti, tradisce ancora una volta con la maglia del’Argentina, sparando alto uno dei rigori decisivi per la vittoria finale. Sbaglierà, poi, anche il laziale Biglia, completando così l’ennesima disfatta a tinte albicelesti.
Per l’Argentina si tratta della terza estate consecutiva passata a leccarsi le ferite dopo delusioni cocenti: nel 2014 ci pensò Gotze a togliere il sogno Mondiale dalla testa dei tifosi sudamericani mentre sia nel 2015 che nel 2016 lo spauracchio ha risposto al nome del Cile.
Al termine dell’ennesima beffa, Leo Messi sbotta e dichiara, sorprendendo il mondo intero: “Per me è finita con la nazionale. Ci sono state quattro finali e non mi sono bastate per vincere. Ci ho provato. Era la cosa che desideravo di più, ma non ci sono riuscito, quindi penso che sia finita“.
Il terremoto è esploso con tutta la sua forza. Soltanto poche ore prima, l’Argentina attendeva la finale del riscatto ed invece, dopo la sconfitta ai rigori, si ritrova a dover gestire l’addio del suo campione più rappresentativo, del calciatore più forte al mondo insieme a Cristiano Ronaldo. E’ un colpo duro da digerire che, combinato con la finale persa, diventa quasi da ko per tifosi e federazione.
Il mondo argentino (e non solo) si divide tra coloro che decidono di coccolare il campione ferito per convincerlo a tornare sui propri passi e quelli che, invece, lo criticano ritenendo che non si tratti di una mossa pari al talento espresso sul campo dal genio che veste la maglia del Barcellona. Il riferimento è sempre lo stesso, il più pesante: Diego Armando Maradona. “Diego non avrebbe mai abbandonato la nave che affonda” questo il tormentone dei critici verso Messi, che paga i pochi trofei portati a casa in nazionale (Campionato Mondiale under 20 nel 2005 e oro olimpico nel 2008) rispetto al Pibe de Oro, in grado invece di far sognare un popolo intero con i colpi sul campo e la sua Mano de Dios contro gli odiati inglesi.
Come se non bastasse, mentre infuriano ancora le polemiche sul pro o contro Leo, ci si mettono anche le Olimpiadi di Rio a rovinare la situazione in casa Argentina. La federazione ha scelto ancora il ‘Tata’ Martino come selezionatore per dare la caccia all’oro in Brasile. L’ex tecnico del Barcellona, però, ad inizio luglio decide di rassegnare le proprie dimissioni come allenatore della nazionale. Il motivo? Le feroci critiche seguite alla finale persa soltanto pochi giorni prima e, soprattutto, l’impossibilità di portare tutti coloro che erano stati convocati per le Olimpiadi in quel di Rio de Janeiro. Per il torneo dei Giochi, infatti, non valgono le regole Fifa sulle nazionali e così dei 18 convocati ben 9 vengono negati dai club. Martino va su tutte le furie, coglie la palla al balzo, e decide di lasciare l’incarico visto anche il clima infuocato.
A questo punto, si fa sempre più largo l’ipotesi di un’Argentina pallonara costretta a rinunciare ai Giochi Olimpici. Una vergogna. Della situazione, visto l’immobilismo dell’Afa, la Federcalcio argentina che versa in uno stato di crisi profonda dopo una serie di scandali, inizia ad occuparsene il comitato olimpico, comunque senza la certezza che si arrivi a trovare una soluzione.
“L’Argentina è uno dei paesi campioni del mondo e ha vinto due ori olimpici, quindi il calcio è qualcosa di molto importante per il Paese – afferma il presidente del comitato olimpico argentino Gerardo Wertheiner subito dopo lo scoppio del caos – Il fatto che oggi io non possa dire se saremo in grado di allestire una squadra per Rio è davvero una vergogna. Ora stiamo lavorando per trovare una soluzione, formare una squadra e avere la collaborazione dei club. Certo la situazione è ancora difficile. Se avessimo lasciato le cose in mano all’Afa il nostro forfait nel calcio a Rio sarebbe stato una certezza, ma anche così la possibilità che non andiamo esiste“.
Parole di fuoco, totalmente giustificate però da una situazione al limite del grottesco, soprattutto per un paese così importante. Alla fine, a guidare la selezione argentina a Rio viene scelto in fretta e furia Olarticoechea, ex bandiera della nazionale albiceleste. Vengono inoltre ufficializzati i 18 per Rio. La brutta figura, però, resta. Indelebile.
Problemi finiti? Macché. A gettare ulteriore benzina sul fuoco ci pensa il dio terreno di ogni argentino, sempre lui, ‘el Diego’. Nel mirino di Maradona, oltre all’Afa, finisce anche la FIFA, nonostante il nuovo presidente Infantino abbia sostituito il vecchio nemico Blatter. Diego Armando Maradona, infatti, incontra presso la sede dell’Afa Primo Corvaro, il delegato della Fifa. Un summit in cui il Pibe de Oro aveva affermato di riporre molte speranze per il futuro del calcio del proprio paese ma da cui esce furente, accusando Corvaro di non voler fare tabula rasa una volta per tutte nella federcalcio argentina, che anche il presidente Macri ha definito terribilmente corrotta. La storia è vecchia, Maradona vs Afa: al vertice Grondona (nemico giurato di Maradona per decenni) non c’è più ma le difficoltà restano tali e quali.
“Sono arrabbiato, perché sono venuto a parlare con il delegato della Fifa Primo Corvaro, ma lui ha interrotto l’incontro. Ero qui per parlare di calcio e dei problemi del calcio argentino. Prosegue la mafia ‘grondonista’ che c’è sempre stata, niente è cambiato. Hanno parlato tra club, di organizzazione dei campionati senza alcuna logica. A queste condizioni non me ne frega niente di dare una mano, io chiedevo pulizia e trasparenza nella gestione federale, mi rispondevano di superlega a trenta squadre, impossibile da allestire perché manca tutto. Non è cambiato niente, è sempre la stessa mafia che c’era ai tempi di Grondona. Metterò Infantino al corrente di tutto, non so se la Fifa può liberare l’Argentina da questi cialtroni“.
Il calcio argentino, insomma, crolla a pezzi. Riuscirà ancora una volta, seppur fuori dal rettangolo verde, il ‘Pibe de Oro’ a risollevarne le sorti? Ai posteri l’ardua sentenza.