“Vorrei soltanto dormire e risvegliarmi a cose fatte”. Avrebbe detto proprio così a qualcuno dei suoi collaboratori Silvio Berlusconi a proposito della vendita del Milan. Il suo Milan. Quello che prese sull’orlo del fallimento un giorno del 1986 e in pochi anni portò sulla vetta del mondo. Parlano i numeri, per la sua storia di presidente: 29 trofei vinti in 30 anni, di cui 7 scudetti e 5 Champions League (una volta si chiamavano Coppe dei Campioni). Mai nella storia del calcio italiano, un presidente è riuscito a vincere tanto. Mai nella storia, un presidente è rimasto tanto a lungo nella vita di una società di calcio. Ma la storia di Silvio Berlusconi con il Milan, non è stata soltanto una storia di trofei vinti. E’ stata prima di tutto una storia d’amore, un idillio durato 30 anni. Il “matrimonio” più lungo in tutta la sua vita. Una di quelle storie che ci ricordano che il calcio, anche nell’era delle Pay-Tv, delle plusvalenze, e dei grandi affari, può essere ancora una questione di cuore.
E adesso che anche Silvio Berlusconi ha venduto, il calcio italiano ha perso forse, il suo ultimo grande presidente tifoso. L’ultimo di un’intera generazione. Come lui prima di lui, ce ne sono stati tanti. Genova, sponda blucerchiata ricorda ancora Paolo Mantovani. Quello del primo ed unico scudetto del 1991. Colui che portò Vialli e Mancini sotto la Lanterna. Il presidente più amato dai tifosi sampdoriani. Ma anche la Milano nerazzurra ha avuto i suoi presidenti tifosi. Massimo Moratti per esempio. Innamorato dell’Inter fin da bambino, quando il presidente era suo padre Angelo. Anche lui, molti anni più tardi, dopo aver rilevato la quota di maggioranza da Ernesto Pellegrini, porterà la sua Inter prima sul tetto d’Europa e poi sulla vetta del mondo. E anche lui proprio come Berlusconi venderà ai cinesi di Suning la partecipazione residua che aveva nella Beneamata (la quota di maggioranza era stata venduta nel 2013 ad Erik Thohir). Se la Milano del pallone è diventata ormai una piccola “colonia” di Pechino, non è l’unica realtà in Italia, passata sotto mani straniere. La Roma per esempio. Diventata “americana” nel 2011 dopo che per quasi vent’anni era stata di proprietà della famiglia Sensi. Prima Franco,presidente fino alla morte avvenuta nel 2008 e poi con la figlia Rosella. Franco Sensi è entrato di diritto nella storia della Roma per essere stato il presidente del terzo scudetto vinto nel 2001. Diciotto anni dopo, l’altro storico tricolore vinto nel 1983. Quando sulla panchina giallorossa sedeva Nils Liedholm e il presidente era Dino Viola. Forse il presidente più amato dai tifosi giallorossi. Un altro dei grandi presidenti tifosi del calcio italiano. Che dopo aver portato la Roma sulla vetta d’Italia è andato ad un passo dalla conquista dell’allora Coppa dei Campioni persa ai rigori, nella finale contro il Liverpool nel 1984.
Dieci anni dopo il primo storico scudetto vinto sull’altra sponda del Tevere, quella biancoazzurra. Che ne ha avuti di presidenti tifosi. Perché se la Roma giallorossa ha avuto Dino Viola, quella biancoazzurra ha avuto Umberto Lenzini. Americano di nascita ma laziale d’adozione proprio come Giorgio Chinaglia. Storico centravanti di quella Lazio e poi presidente negli sfortunati (per la Lazio) anni Ottanta. Lenzini e Chinaglia sono stati forse gli ultimi presidenti tifosi nella storia della Lazio. Vinceranno poco, come i loro immediati successori. Prima Chimenti (che vincerà nulla) e poi Gianmarco Calleri, che legherà comunque il suo nome a quello della Lazio per essere stato il presidente nell’anno più difficile nella storia della prima squadra della Capitale: la stagione 1986-87 quando la Lazio, riuscì a salvarsi nel campionato di serie B, dopo essere partita con 9 punti di penalizzazione. Fino all’arrivo del più grande presidente della storia laziale cioè Sergio Cragnotti. “L’imperatore” come venne definito dai tifosi della Curva Nord. Un amore quello nutrito dai tifosi per Cragnotti, non sempre ricambiato dal presidente. Il quale, arriverà a definire i tifosi della Lazio come i primi “clienti” della sua società. Sarà proprio Cragnotti in Italia, il primo a cambiare il modo di gestire le società di calcio. A portare per la prima volta nella storia, una società di calcio a quotarsi in Borsa. A parlare dell’importanza delle plusvalenze. A decidere di vendere calciatori come Beppe Signori (incoronato Re di Roma dai tifosi laziali che eviteranno la cessione scendendo in piazza) e Cristian Vieri (in quel momento il più forte attaccante italiano venduto all’Inter) di fronte ad offerte miliardarie. Per Cragnotti il calcio più che una questione di cuore era una questione di business. Vinse tanto però e questo lo rese amato dai tifosi biancocelesti. Più che un presidente tifoso la storia lo ricorderà come un visionario. Aveva capito prima degli altri in quale direzione sarebbe andato il calcio.