Creed: dallo schermo alla realtà

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Esce nella sale italiane il film sul figlio di Apollo Creed, celebre personaggio del Rocky Balboa di Sylvester Stallone.  E ci sono anche i pugili veri.

Creed – Nato per combattere’, non è solo il “nuovo”, ultimo, capitolo della saga Rocky. Nel film c’é molto di più. Il giovane talentuoso regista Ryan Coogler ha rivelato la sua passione per la storia riprendendo lo spirito originale del primo film del 1976 che consacrò Stallone sul grande schermo.

Rocky è entrato talmente nell’immaginario del pubblico che ormai si fa fatica a distinguere dove finisce il personaggio cinematografico (“l’amico immaginario” come lo chiama lo stesso Sly, mentre ringrazia per il Golden Globe appena vinto quale miglior attore non protagonista, antipasto di un possibile, probabile Oscar) e comincia quello sportivo, ricco di riferimenti autentici, a cominciare ovviamente da quel Rocky Marciano, campione epico della boxe.

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foto di Bobak Ha’Eri

Rocky Balboa ha perfino una robusta statua nella “sua” Philadelphia.  Il film vinse tre statuette d’oro, tra cui quella per il miglior film e miglior regia. Grazie a Rocky, Stallone, che all’epoca era un attore sconosciuto con un dubbio curriculum, divenne il terzo uomo nella storia del cinema, dopo Chaplin e Welles, a ricevere la nomination all’Oscar sia come sceneggiatore che come attore per lo stesso film. Ci sono scene che ancora oggi emozionano per questa sua affinità con il personaggio.

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Realizzato nemmeno in un mese con un minimo budget sbancò i botteghini, diventando un successo di pubblico e di critica tale da costringerci a tornare ben cinque volte al cinema per vedere i sequels. Nessuno all’altezza del primo, ma almeno fino al quarto, una vera esigenza per gli appassionati di boxe.

Il segreto del successo di Rocky fu infatti proprio l’ingrediente del neorealismo nel mondo oscuro del pugilato. Rino Tommasi, grande esperto e conoscitore dell’ambiente più tossico e sanguinoso del mondo dello sport, ripeteva spesso:

“Rocky ha una strepitosa sceneggiatura, un grande spaccato della realtà del pugilato, dai bassifondi sino alla gloria. Certo, fino all’incontro finale, quando poi diventa impossibile fiction spettacolare”.

Ecco, Creed ricalca quel canovaccio con grande attenzione. Adonis Creed, figlio di Apollo, figlio del regista figlio di un Rocky-fan, che ammette candido:

Sono cresciuto guardando i film di Rocky con mio padre; era un momento tutto nostro (…) Ero un atleta e lui mi accompagnava a fare football, arti marziali e basket. Quando mi aspettava un incontro importante, ci sedevamo uno accanto all’altro e guardavamo Rocky II. E’ stato questo il modo in cui ho conosciuto il personaggio e la storia. Poi li abbiamo visti tutti e io me ne sono innamorato”.

Ancora il rapporto col padre. Capite come questo film abbia qualcosa di profondamente terapeutico. Per non dire freudiano.

La trama sarebbe quasi banale, se non fosse che si va a scavare nel passato di un personaggio di “secondo piano” quale Apollo Creed, il rivale di Rocky, interpretato da Carl Weathers, ex giocatore di football americano, ispirato a Muhammad Alì (come dichiarato dallo stesso Stallone: il personaggio di Balboa nacque osservando un vero incontro di boxe che venne disputato nel 1975 fra Chuck Wepner e Alì).

Il figlio, Adonis, interpretato dal bravo e meticoloso Michael B. Jordan, che mai conobbe il padre perché frutto di una relazione clandestina, ha un talento naturale per la boxe, anche se la matrigna (la ex signora Robinson, quella nera però, che decide di crescerlo recuperandolo dalle prigioni minorili) non vuole che la pratichi. Tuttavia il ragazzo, nonostante l’evoluzione da Principe di Bel Air che capita nella sua vita, non molla. Combatte di nascosto nei peggiori locali messicani, perché a L.A. nessuno lo vuole allenare (questa è l’unica cosa che stride nella logica della sceneggiatura).

Decide così di cominciare una nuova vita anonima nella città del grande avversario e amico del padre: Rocky. L’incontro fra i due è roba per maniaci dell’aneddotica cinematografica. Balboa è colui che non ha gettato la spugna nel famoso incontro letale di Creed contro Ivan Drago (Rocky IV).

Ma poi Rocky ormai chi è? Non ci sono più Adriana e Paulie, restano solo le tartarughe e la solitudine di quel giovane “bullo di periferia”, puro e un po’ tonto, ora anziano e malato, quasi rassegnato che capisce sempre meno il mondo che lo circonda, ma che riconosce subito il potenziale del figlio del suo vecchio compagno. E accetta di ricostruire un’insolita nuova famiglia, per non arrendersi.

Si torna così a rincorrere galline, correre nelle albe gelide e saltellare nelle palestre sporche e mal frequentate di Philadelphia, dove ragazzi perduti sognano la giovinezza sprecata sulle moto e per la strada.

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Proprio come nel primo film, ma con un taglio decisamente black (a cominciare dalla colonna sonora fino alla storia d’amore), quasi fossimo dall’altra parte del quartiere, e rovesciando completamente i ruoli. Adonis è ricco fra i poveri. E nasconde il suo vero nome, vergognandosi orgogliosamente di essere un figlio di papà.

Si arriverà fino allo scontro decisivo. Costruito a tavolino, come sempre, dove l’outsider ha tanto da perdere ma anche tutto da guadagnare. E la fine è scritta. Perché la vittoria (questa fu l’altra grande invenzione del primo Rocky) spetta poi solo agli dei come Achille (non sono un caso i nomi mitologici). Coloro che li sfidano sono umani come Ettore. Perdono perché sono mortali. Eppure restano in piedi, e diventano eroi.

L’aspetto che ci appassiona davvero, nel film cucito con nitida semplicità, è poi l’utilizzo dei pugili professionisti nel cast: Anthony Bellew, Andre Ward e Gabriel Rosado.

E’ molto curioso notare come l’attore Jordan, dal fisico atletico, tradisca la nostra idea del pugilato. Quelli veri ci sembrano molto meno prestanti, eppure più cattivi. Più crudi.

Nella realtà sono atleti autentici, ma c’è una bella differenza tra boxare veramente e boxare davanti alla macchina da presa. I pugili, soprattutto in tale categoria, sono essenziali, non tirano pugni in modo plateale come appare nel film.

La maggior parte delle volte si muovono così rapidamente e con tale efficacia che la macchina da presa non riesce nemmeno a seguirli, quindi hanno dovuto imparare come mostrare i colpi, evidenziando i movimenti.

È stato piuttosto pericoloso per Mike, il protagonista (soprannominato ‘Hollywood’, tanto per dare un’altra pillola di meta-cinema), perché se ti colpiscono dei pro, possono farti davvero molto male.

L’inglese Anthony Bellew interpreta Pretty Ricky Conlan, Bellew sostiene che lui e il suo personaggio hanno molto in comune.

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“Ricky è di Liverpool, come me. È un grande tifoso dell’Everton, lo è sempre stato, come me. Ha avuto successo, ma non ha mai dimenticato da dove viene”.

Bellew fa il pugile da quando era un adolescente. E’ rimasto molto sorpreso quando ha ricevuto una telefonata dal produttore di Creed, che gli chiedeva di recitare nei film.

“Ho subito pensato che fosse un amico che mi faceva uno scherzo, qualcuno che si faceva passare per Kevin King per prendersi gioco di me. Ho chiesto a mia moglie di guardare su internet e lei mi ha detto che era proprio lui, era la stessa persona, aveva la stessa voce (…) I film di Rocky  parlano molto di quello che deve affrontare un un combattente non solo fisicamente. Sylvester Stallone ha contribuito a mostrare i pugili per quello che sono veramente: nobili, onesti e gentiluomini. Ok, ci sono personaggi cattivi nella boxe, come nella vita, ma molti di noi sono persone intelligenti, acute, che sanno parlare”.

Andre Ward interpreta Wheeler.

“Sono letteralmente cresciuto guardando i film di Rocky e ascoltandone la colonna sonora. Adoro le scene dei combattimenti, ma ho amato anche Ia preparazione, tutto quello che succede prima di salire sul ring, sono un pugile, quindi sono cose che ho fatto tutta la vita. Uno dei motivi per cui ho voluto essere nel film é che gli appassionati di pugilato non hanno la possibilità di vedere coda succede dietro Ie quinte, mentre Creed fornisce una visione chiara dell’ambiente, bel bene e bel male. E il fatto she Ryan abbia portato tanti pugili veri ha accentuato l’autenticità”.

L’ultimo pugile è Gabriel Rosado che interpreta Leo “the Lion” Sporino.

Rocky significa molto per Philadelphia. Sono un pugile che viene da quell’ambiente, ho lavorato di notte a costruire condotte prima di riuscire ad affermarmi, so quanta si debba lottare. Lo so io e lo santo tanti altri, quindi é stato magnifico far parte di questo film”.

Tutti e tre gli atleti hanno riconosciuto il grande lavoro dietro la produzione del film, magari non potranno dire che i pugni veri non ti permettono di rialzarti da un k.o. come se nulla fosse. Ma come diceva Tommasi, fa parte del Cinema. Il resto è solo un grande omaggio alla boxe. Che mai come oggi ne ha davvero bisogno.

Molto interessante anche notare come il film abbia subito coinvolto personaggi famosi del mondo sportivo, soprattutto portando un messaggio (#NatoperCombattere) etico per uno sport più coraggioso e più pulito.

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