Antonio Padellaro ha intervistato telefonicamente Massimo Fini, scrittore, giornalista e appassionato di calcio, in merito al derby Roma – Lazio dell’8 novembre e i provvedimenti repressivi adottati per limitare la violenza.
Padellaro: Ciao Massimo, vorremmo parlare con te della progressiva espulsione, non solo dei tifosi ma anche degli spettatori dagli stadi di calcio e, mentre cominciamo questa conversazione, vediamo scorrere le immagini di un deserto qual era lo Stadio Olimpico e la zona circostante, domenica, prima durante e dopo il derby Roma- Lazio, che è una delle grandi manifestazioni popolari di questa città. Ecco appunto, vorrei chiedere che cosa, secondo te, è all’origine di questa progressiva espulsione degli spettatori e soprattutto di questa persecuzione delle curve.
Fini: Fa parte di un modo generale della nostra società di voler evitare a tutti i costi qualsiasi forma di aggressività. Mentre l’aggressività è importante per l’individuo. Lo stadio era proprio un posto, come è stato anche per altre culture, dove ci si poteva sfogare e, in questo modo, si evitavano guai peggiori.
Un calcio senza tifosi non esiste. Mi ricorda quando cominciarono i giapponesi, che non avevano i tifosi, mettevano delle figurine con delle bandierine che facevano rumore. Ripeto fa parte della pruderie illuminista di questa società che pretende che non ci sia in nessun modo aggressività e, anche, quel poco di violenza che invece è necessaria.
Padellaro: Questo modo di agire, però, sta desertificando gli stadi: un luogo di ritrovo, di gioia, di divertimento di passione, piano piano si sta trasformando negli stadi giapponesi di cui mi parlavi. Ci sono degli stadi in Italia dove queste sagome colorate sono già state messe, previste e gli stadi sono sempre più malinconici. E’ una follia.
Fini: Dall’82 il calcio allo stadio ha perso il 40% dei suoi spettatori, che sono i veri appassionati del calcio. Tutto a favore di un calcio televisivo che, a parte il fatto che è tecnicamente diversissimo da quello che si vede sul campo, non ha assolutamente la stessa funzione. Il calcio, prima di essere spettacolo, prima ancora di essere sport, è vita. La domenica, quando si andava alla partita, si celebrava un rito collettivo. Un rito collettivo importante anche socialmente perché metteva insieme ceti completamente diversi. Adesso, invece, si espellono semplicemente i tifosi dallo stadio, così abbiamo risolto. Mi ricordo un pezzo di Sconcerti, che si occupa di queste cose, che diceva che lo stadio deve diventare “una bomboniera per pochi“. Ebbene questa è la fine del calcio.
Padellaro: Poi c’è anche il business. La trasformazione dei tifosi in clienti delle televisioni evidentemente è molto più conveniente proprio dal punto di vista del giro di affari. Tanto pagare la pay tv conviene di più alle società che incamerano soldi più di quanti ne prenderebbero con dei semplici biglietti dello stadio.
Fini: Certamente. Tant’è vero che, appunto, il rito del calcio è stato quasi completamente distrutto. Hai due partite il sabato, la domenica una all’una e poche il pomeriggio, una alle sei e poi il posticipo. Non è così, non funziona. Cioè funziona in senso business televisivo. Ma il calcio in questo modo, e io lo scrissi già nell’82, andrà a morire. Perché lo trasformi in uno spettacolino televisivo drive in come un altro, come domenica in e, ad un certo punto, come qualsiasi domenica in, andrà a finire. Sarà un processo lungo, se si continua così, non sarà domani. Io la vedo così. Sono tifoso da quando avevo 4 anni adesso ne ho 150, è una roba che mi immalinconisce molto.
Padellaro: io ho scritto, domenica su Il Fatto Quotidiano, che abbiamo a Roma un Prefetto, Gabrielli, che ha questa concezione dell’ordine pubblico: assicurare l’ordine senza il pubblico. Nel senso che non c’era pubblico, ce n’era pochissimo domenica e tutto è andato liscio. E’ una visione molto stravagante.
Fini: più che stravagante direi, usiamo anche parole grosse, una visione quasi fascista. Nel senso: io mantengo l’ordine pubblico togliendo, come dici tu, di mezzo il pubblico. Allora che ci stai a fare? Sono capace anche io. E anche tu.
Poi, ripeto, si fa troppo chiasso su tafferugli che possano venire fuori dallo stadio. Secondo me, bisogna naturalmente canalizzare questa aggressività ma, ripeto, non abolirla del tutto. Quindi, anche quello che avviene fuori dallo stadio va controllato.
Padellaro: Ma certo! Nessuno vuole fare il gioco dei violenti o dei teppisti che cercano gli scontri. Quello è il compito delle forze dell’ordine: prevenire, fare un lavoro che isoli quelle persone, ma non come è successo domenica. Non è che mancavano 100 teppisti, mancavano 30 mila persone allo stadio e quindi è un problema non da poco.
Fini: E’ tutta una linea, voglio dire. Nel senso che si è arrivati a punire la discriminazione territoriale. Se uno non può andare allo stadio e gridare “Forza Vesuvio“, non ci siamo. Come quando cade l’avversario, “devi morire”, ripeto, questi sono cori innocenti. Lo sfogo lo devi mantenere nel limite del suffragabile. Questo è possibilissimo se uno sa fare il suo mestiere.
Evviva Massimo Fini, voce indipendente e coraggiosa
Finalmente una voce coraggiosa che riesce a denunciare le prepotenze del Potere e della lobby televisiva che ne trae profitti, Prefetti che fanno i Podestà e che, per non avere grane, limitano con disinvoltura la libertà costituzionale di movimento dei cittadini vietando le trasferte in base al luogo di residenza. Leggi che impediscono ai bambini di portarsi allo stadio il succo di frutta e una trombetta, e ai curvaioli di usare tamburi e megafoni. I biglietti sono nominativi, ti fotoriprendono quando entri allo stadio, non ti puoi accostare ad un amico pure se gli spalti sono semivuoti. Eppure sono anni che all’interno degli stadi non succede niente!