Cosa deve fare l’Italia per andare ai mondiali
Dopo le ultime negative prestazioni, gli azzurri sono chiamati a un reset emozionale che li spinga ad essere nuovamente affamati e all’inseguimento di un sogno
Dopo la brutta prestazione terminata con l’arido 0-0 di Belfast, la nazionale italiana si è (quasi) all’improvviso riscoperta fragile. Una percezione che stride nell’animo di un gruppo che, non oltre quattro mesi fa, era diventato campione d’Europa meravigliando il mondo per le doti che aveva saputo dimostrare, legate a valori caratteriali più che tecnici che l’avevano spinto a superare i suoi limiti. La fantasia, la voglia di divertirsi e il coraggio di mettere da parte le paure avevano legato in un largo abbraccio i ragazzi di Mancini e gli italiani: una simbiosi che è la migliore essenza del rapporto tra tifosi e giocatori. Sono stati sufficienti quattro mesi e qualche prestazione bislacca a spingere nel passato remoto una magia che molti, fors’anche gli azzurri stessi, ritenevano potesse proseguire fino al mondiale in Qatar per moto inerziale. Nelle analisi fatte in questi giorni, diverse sono state le ragioni indicate come fattori determinanti dell’involuzione di gioco in cui è inciampata l’Italia. Si è parlato di presunzione, infortuni, stato di forma deficitario senza dimenticare la sorte che, dopo le grazie concesse a giugno e luglio, è sembrato averci scontato i favori uno ad uno: in effetti, una parte di responsabilità c’è in ognuna di queste indicazioni.
La causa maggiore della mancata qualificazione diretta alla fase finale dei prossimi mondiali, però, va ricercata altrove: nell’anima, più che nella testa, dei ragazzi che la scorsa estate hanno dipinto di magia le notti italiane. L’intensità delle passioni ci ammalia da sempre: è per questo che siamo un popolo di navigatori e di poeti, capaci come pochi altri di narrare l’incanto delle emozioni. Quell’incanto che, sul campo di calcio, si è tradotto in una sottile forma di appagamento che nelle prime partite dopo la finale con l’Inghilterra ha tolto ingannevolmente cattiveria alle nostre prestazioni. Ciò che, malinteso come presunzione, è stato il terreno di conquista delle rinvigorite ambizioni di avversari più che motivati ad allungare uno sgambetto maligno ai nuovi campioni d’Europa.
Anche il sogno, altro elemento motivazionale determinante nella conquista di Wembley, è venuto meno nel momento in cui si è realizzato. Quel sogno che Mancini aveva saputo dapprima insinuare e poi coltivare nel cuore dei suoi giocatori, l’11 luglio scorso si è materializzato, togliendo agli azzurri un ulteriore stimolo a superare quei limiti che, in questi giorni, sono emersi ingigantiti. E allora, cosa fare? Come affrontare i prossimi spareggi per accedere a un mondiale che, in caso di mancata qualificazione, creerebbe un caso unico nella storia della nazionale, ossia l’assenza a due edizioni consecutive? In questi giorni molti (il CT in primis) hanno rievocato l’impresa della scorsa estate per attingere forza e consapevolezza da quel ricordo. Operazione in realtà infingarda, che porta con sé i germi di un possibile fallimento: convincersi di essere forti sulla base del capolavoro realizzato tra giugno e luglio è il presupposto per rimanere la squadra grigia e involuta che ha pareggiato a Belfast. La vittoria dell’Europeo è stata l’apice di un percorso che sembra aver trovato nelle prestazioni degli ultimi due mesi una linea discendente della quale è necessario invertire la rotta. Per farlo Mancini deve operare esattamente al contrario di quanto ha finora sostenuto: cancellare dall’anima dei ragazzi la contemplazione del successo a Euro 2020 e ripartire. Un reset emozionale necessario per tornare ad essere affamati, per togliersi dalle gambe la dolcezza di quei ricordi e l’insicurezza che genera il non sentirsene all’altezza quando le partite si rivelano difficili. E alimentare un nuovo sogno, una nuova ambizione: quella di andare ai mondiali per provare a vincerli. Un desiderio impossibile, come nel 2018 sembrava essere quello di trionfare agli Europei, è ciò a cui devono aspirare gli azzurri per tornare a essere competitivi. “Stay hungry, stay foolish” diceva Steve Jobs: traiamone ispirazione. Non siamo i più forti: per confrontarci alla pari con loro abbiamo bisogno di obiettivi elevati che ci spingano ad andare oltre i nostri limiti: solo tornando affamati e prigionieri di un sogno potremo andare in Qatar ed essere protagonisti.