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Cosa c’è dietro il ritorno dell’Alfa Romeo in Formula Uno?

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Dietro un rientro in grande stile, sinergie e prestigio in espansione. Oltre a interrompere un digiuno trentennale, il ritorno dell’Alfa Romeo in Formula-1 in qualità di partner della Sauber indica, da un lato, il rafforzamento dei buoni uffici tra la Ferrari e la scuderia elvetica e, dall’altro, l’aumento della caratura della figura di Sergio Marchionne sulla scacchiera del Circus.

Costituitosi nel 1997 mediante la fornitura motoristica adoperata dal Cavallino nella stagione precedente (ribattezzata Petronas per ragioni commerciali), il legame Maranello-Hinwil si protrasse fino al 2005 ed è ripreso nel 2010, quando la formazione svizzera, a seguito dell’uscita della BMW dalla Formula-1, era ritornata nelle mani del suo fondatore, Peter Sauber. Con risultati comunque soddisfacenti: quattro podi (tre di Perez e uno di Kobayashi) nel 2012 e ripetuti piazzamenti a punti, con tanto di giro veloce di Gutierrez a Barcellona, nel 2013. Ma proprio il finale di quell’anno aprì una crisi economica della squadra che, oltre al faticoso sostenimento di alcune spese, uscì sconfitta dalla causa intentatale dal pilota olandese Giedo Van der Garde, che le imputò di non aver rispettato il contratto che prevedeva il suo ingaggio per il 2015. Nel 2016, il passaggio di consegne da parte di Sauber a una finanziaria rossocrociata, la Longbow Finance SA. E nella stagione appena terminata, l’avvicendamento al muretto tra Monisha Kaltenborn e Frédéric Vasseur. Una lunga serie di perturbazioni che si sono ripercosse anche in pista dove, escluso un discreto 2015, le monoposto non hanno mai superato i 5 punti a fine campionato e si son ritrovate a essere le più deboli del gruppo, precedendo giusto le meteoriche Caterham (2014) o Manor (2016).

Assume quindi i contorni di un “piano Marshall” la partnership con l’Alfa Romeo, poiché non sarà soltanto commerciale bensì anche, e soprattutto, tecnica e tecnologica. Si parla di venti ingegneri pronti a lavorare per il team fin dai test del prossimo febbraio. La Sauber può aspirare a un legittimo miglioramento delle prestazioni, soddisfacendo anche Maranello, perché al volante ci sarà il ventenne monegasco Charles Leclerc, vincitore nel 2017 del titolo mondiale di Formula-2, ma in particolare prodotto della FDA (Ferrari Driver Academy), che disporrà così dell’ambiente ideale per acquisire esperienza nella disciplina e prepararsi a un possibile rientro alla base. E come lui, anche Antonio Giovinazzi, confermato terzo pilota e che nel 2017 ha corso due gran premi, ruolo che ricoprirà anche per conto del Cavallino.

Se il Biscione ritornerà a sibilare, è stato merito soprattutto dell’insistenza di Sergio Marchionne, che nei mesi scorsi, in più di una circostanza, si era pubblicamente espresso favorevole al suo rientro nella categoria regina della velocità su quattro ruote. Considerando che il marchio Alfa Romeo, al pari di quello Ferrari, fa parte del gruppo FCA (dove lo stesso Marchionne ricopre la carica di amministratore delegato) e che entrambi saranno coinvolti nelle sorti di un’altra scuderia, la già citata Sauber, ne consegue una crescita d’autorevolezza delle opinioni del manager italo-canadese in merito alle decisioni che la Formula-1 dovrà prendere per il suo futuro. Il pensiero corre subito al regolamento tecnico che entrerà in vigore dal 2021, quando sarà scaduto il Patto della Concordia, e in particolare al format delle nuove power unit. Un argomento nelle scorse settimane già oggetto di forti divergenze. La Ferrari al momento è schierata su una linea ben differente da quella proposta dalla Federazione e Marchionne, sul punto, ha rilasciato una frase abbastanza eloquente: “La Formula 1 è parte del nostro dna sin dal giorno in cui siamo nati, ma se il parco dove abbiamo sempre giocato cambia così tanto da diventare irriconoscibile, non voglio più giocare”. Parole forti, che hanno subito messo in subbuglio il paddock. E che adesso, col ritorno di un nome che ha scritto i primi capitoli della Storia della Formula-1 – con Nino Farina e Juan Manuel Fangio l’Alfa Romeo vinse le prime due edizioni del mondiale (1950 e 1951) – non potranno rimanere inascoltate. Né da Liberty Media” e né a Place de la Concorde. Perché, oltre all’eventualità di perdere un mito delle corse, rischierebbero di veder andar via chi è appena tornato e chi, trovandosi dall’oggi al domani senza il know-how di questi due simboli, sentirebbe messa in seria discussione la sua presenza nel tempio dei motori.

Classe 1982, una laurea in "Giornalismo" all'università "La Sapienza" di Roma e un libro-inchiesta, "Atto di Dolore", sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, scritto grazie a più di una copertura, fra le quali quella di appassionato di sport: prima arbitro di calcio a undici, poi allenatore di calcio a cinque e podista amatoriale, infine giornalista. Identità che, insieme a quella di "curioso" di storie italiane avvolte dal mistero, quando è davanti allo specchio lo portano a chiedere al suo interlocutore: ma tu, chi sei?

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