Abbiamo intervistato Federica Guglielmini e Virginia Perini, autrici di “A corta distanza” per parlare della boxe al femminile, degli stereotipi da battere e di come è nata l’idea di scrivere un libro del genere.
Ecco cosa ci hanno raccontato.
Cominciamo dalla meno facile delle domande: chi sono Federica e Virginia?
Virginia:«Donne, amiche, ex compagne di sparring: sono due anime appassionate, molto diverse ma accomunate dall’amore per la letteratura e dalla curiosità verso uno sport che ha tanto da raccontare. Sono una giornalista che ha lavorato per i settori della cronaca, della cultura e delle scienze, mossa (proprio come nel caso di A corta distanza) da una profonda curiosità verso tutto ciò che si presta a essere storia. Da sempre sue compagne di viaggio, inseparabili e onnipresenti negli oltre 20 volumi che ha dato alle stampe, sono la filosofia, una lente imprescindibile per leggere il mondo, e il grande interesse per la scienza che l’ha spinta a spaziare dalla aule di Giulio Giorello fino a portarla, parallelamente alla professione giornalistica, a coronare la passione di una vita verso gli animali, lavorando in un importante studio veterinario milanese.
Federica:« Sono un’educatrice e scrittrice, vivo a Milano, città che amo molto e che ho scelto più di dieci anni fa per intraprendere le imprese letterarie in cui ho sempre creduto. Sono davvero contenta che la nostra grande impresa che porta il nome di A corta distanza sia nata proprio nella città di Milano che si è sempre distinta per essere un motore di fermenti artistici e culturali che hanno lasciato il segno. Scrivo poesie da quando sono bambina e l’amore per la boxe è arrivato qualche anno dopo con una naturalezza che adesso riconosco avere origini antiche. La boxe e la poesia hanno la stessa natura, entrambe devono lottare per raggiungere l’altro. Scrivere è come fare un incontro sul ring. Dopo gli studi in psico-pedagogia e la laurea in Lettere moderne ho lavorato al fianco di Tomaso Kemeny organizzando eventi culturali. Da anni lavoro con i bambini, con i più giovani e con le loro famiglie, prendendomi cura delle fragilità di entrambi, avendo davanti agli occhi il mutare della nostra società attraverso le più svariate forme di educazione.
La boxe e le donne: i primi luoghi comuni da abbattere?
Federica: «Ritengo che l’impegno intellettuale, il talento e la passione sia per la scrittura sia per lo sport non possano essere considerate o solo cose da uomini o solo cose da donne. Con A corta distanza abbiamo abbattuto un grande stereotipo. Siamo state le prime firme femminili ad occuparsi di boxe, di letteratura pugilistica in Italia e prima di noi ci sono state le grandi scrittrici americane Joyce Carol Oates e Katherine Dunn a cui devo molto. Questo libro è progetto culturale a favore del pugilato, a favore di uno sport dall’antica bellezza, che ha colpito anche noi come tutti quegli scrittori che ne rimasero affascinati come la Dickinson, Hemingway, la Candiani, Jack London, Giovanni Testori, Artur Cravan, Sepulveda, Fietzgerald, lo stesso Antonio Spadaro (direttore di Civiltà Cattolica) e molti altri. Per troppi anni si è pensato che praticare la boxe non fosse uno sport per donne seguendo unicamente pregiudizi infondati. Le imprese di Simona Galassi e di Stefania Bianchini più di vent’anni fa e oggi quelle di Irma Testa, Giordana Sorrentino e Angela Carini hanno dimostrato il contrario. Non era mai successo in 101 anni che nessun pugile uomo non si qualificasse alle Olimpiadi. Erroneamente ancora oggi si pensa che certe pratiche sportive che richiedono un grande coraggio e un uso disciplinato della forza non possano appartenere al genere femminile. Una donna è in grado di affrontare un parto generando un essere umano e non può essere in grado di amare la boxe e di praticarla sul ring con coraggio e determinazione senza destare un clamore sociale? Questo pregiudizio storico rimane forte ancora in Italia perché nel resto del mondo non è così. Grandi pugili come Amanda Serrano e Katie Tylor hanno dato al pubblico di tutto il mondo lo scorso 30 aprile al Madison Square Garden uno spettacolo che ha fatto storia. É davvero importante soffermarsi a pensare che ognuno di noi è cifrato da una lotta per la vita sin dalla nostra nascita, da quando nasciamo dal corpo delle nostre madri.
La boxe rappresenta lo sport più omo-eroico che ci sia, perché mette in scena sul palco-ring la storia di tutti noi, nati per lottare con le nostre luci e ombre per tutta la vita, ma il coraggio, l’eroismo, appartengono a chi li sceglie e ne fa una religione di pensiero, uomo e donna che sia.
L’idea del libro come nasce?
Virginia:«Il libro è stato concepito al tavolino di una bella enoteca milanese, ricordando le lunghe sessioni di sparring in palestra. Da un lato c’era la voglia di raccontare tante storie inedite, intriganti, affascinanti, talvolta commoventi. Storie che non parlano solo di sport ma di vita vera, vissuta. Volevamo andare oltre gli stereotipi letterari e cinematografici, per dare voce ai protagonisti della boxe in maniera diretta, attraverso la forma giornalistica dell’intervista, cosa che, tanto, non avrebbe tolto neanche un po’ del fascino di chi ha intrapreso nel nostro Paese la via del ring. Oltre all’interesse letterario, poi, c’era l’idea di riabilitare, per così dire, uno sport elegante, antico e ricco di valori ma troppo spesso trascurato o mal compreso. Si tratta di una disciplina che ha tanto da dire e avvicinarla a tutti, attraverso le storie dei suoi protagonisti, è un modo per valorizzarla. In questa grande impresa non eravamo sole, il nostro terzo uomo, proprio come in un match è stato Bruno Nacci, ex docente di filosofia e autore, oltre che di numerosi romanzi, dell’introduzione del libro A corta distanza. Ha tradotto classici della letteratura francese da Chamfort a Nerval, fino a Pascal, di cui ha curato i Pensieri in diverse edizioni. Grande appassionato della nobile arte, ha seguito la stesura del volume in ogni dettaglio e a lui vogliamo “girare” tutti i complimenti che stiamo ricevendo per questo».
Raccontatemi i motivi per i quali non potreste mai rinunciare al quadrato.
Virginia:«Il ring è un motore per la creatività, ma non solo letteraria. La vita di tutti i giorni ha bisogno di stimoli per arricchirsi, per farsi interessante sempre in modo diverso e questo sport, un intreccio di vite, esperienze, sfide (proprie e altrui) è un nutrimento infinito per la mente e per il corpo. Anche l’allenamento è un’esperienza irrinunciabile: la guardia, la difesa, le schivate, ogni mossa ha una conseguenza: è un percorso pieno si scelte, rischi o sorprese… come la vita!».
Federica:«Devo troppo a questo sport per potervi rinunciare. Ha salvato anche me ed è per questo che mi sono presa l’impegno di lottare per ridargli voce attraverso numerosi progetti culturali. Anno dopo anno la boxe è diventata la religione del mio tempo, mi ha donato un codice interiore attraverso cui vedere la vita e mi ha mostrato gli strumenti per saperla affrontare. La sua duplice natura, essere uno sport e un’arte ai miei occhi la rende unica. Un manager una volta mi ha detto: «Servirebbe un popolo di pugili per rialzare l’Italia».Se si conosce veramente l’etica del pugile e ne si trae un messaggio sincero questa frase sarebbe senza più indugio da mettere su tutti i titoli dei giornali. Non voglio tenere per me questa scoperta, il grande maestro Ezio Bosso diceva sempre: «Quando scopro qualcosa di bello devo dirlo a tutti». Queste parole le ho fatte mie. A corta distanza mi ha regalato maestri di vita, nuovi amici, grandi sognatori; ho trovato i miei eroi. I ragazzi di oggi in che cosa si rispecchiano, chi ispira le loro azioni? Maurizio Stecca, Francesco Damiani, Mario Ireneo Sturla, Giuliano Orlando, Simona Galassi,Rocky Mattioli, Renato De Donato, Dario Morello e tutti gli altri hanno creduto e tutt’ora credono nei valori che la boxe allena . Non posso rinunciare al quadrato perché come ha scritto Katherine Dunn: «É un privilegio vestire i panni della cronista per l’arte pugilistica. I boxeur, maschi e femmine, si battono sotto il calore delle luci bianche mentre io me ne sto seduta comoda al buio a fare commenti. Grazie a loro, da qui riesco a vedere intere galassie».
Come avete scelto le storie da raccontare?
Virginia:«I criteri non sono stati fissi. Scherzando diciamo che potremmo fare altri 10, 20 sequel…In realtà abbiamo cercato di raggiungere persone che a modo loro hanno fatto la storia della boxe, altre che la fanno tutt’ora oppure semplicemente accompagnano questo sport nel suo cammino senza essere per questo meno importanti. L’idea partiva proprio dalla constatazione che la boxe non è realizzata solo dai pugili bensì da tantissime figure appartenenti ad ambiti e mondi differenti che coinvolgono ogni sfera dell’esistenza umana: dall’arte alla musica e via dicendo. Poi abbiamo voluto dare voce ai personaggi legati al passato glorioso del pugilato ma anche a quelle che faranno il futuro di questo sport, ponendo l’attenzione sui cambiamenti e sull’evoluzione di una disciplina secolare».
Quelle che più di altre vi sono rimaste nel cuore?
Virginia:«I lettori ci perdoneranno per la risposta diplomatica ma davvero a citare solo alcuni faremmo un torto… più che ai non citati, ai lettori del libro! Ognuno degli intervistati, anche i meno noti, porta i lettori in un’atmosfera nuova».
Se vi chiedessi come si regge l’equilibrio del binomio femminilità – boxe?
Virginia:«Senza fare troppi discorsi che in tempi di mee too suonerebbero un po retorici… l’arte, la creatività, la tattica e ancora la determinazione, la costanza: non sono forse caratteristiche che ben si sposano con l’animo femminile? Non è un caso che il grande Clint Eastwood abbia scelto una lei per il suo Million dollar baby».
Esiste ancora la grande boxe o, meglio, la boxe tornerà a emozionare le masse, a far svegliare città intere nel cuore della notte, come un tempo?
Federica:«Ti rispondo così Paolo con le parole della Oates: «Scrivere di boxe costringe ad avere davanti agli occhi non solo la boxe, ma anche le demarcazioni della civiltà o cosa dovrebbe significare essere umani». Oggi più che mai nella nostra società colpita (non è una parola scelta a caso) dalla pandemia, con una guerra in Europa vicina ai nostri confini, con i giovani sempre più fragili e facili prede di forme di aggregazioni violente come il bullismo o le baby gang, la boxe può parlare al cuore delle masse alle nuove generazioni, dare loro quegli strumenti educativi per diventare uomini o donne, in grado di sapere resistere e combattere anche all’angolo.
Essendo uno sport da contatto ha il potere di insegnare ad allenare le forme di aggressività trasformandole in altro, in energia positiva che si può praticare appunto negli sport di lotta che sono sempre stati anche nei secoli precedenti utilizzati (anche da sinagoghe e chiese) per il benessere collettivo dei quartieri.
Lo stesso Boris Johnson alcuni anni fa investì diversi fondi a favore degli sport da contatto come una risorsa educativa per la riqualificazione dei quartieri più problematici e vicini alla delinquenza. La boxe non insegna solo la difesa e l’attacco bensì investe sulle capacità di chi la pratica di trasformare anche le emozioni più buie e aggressive in autocontrollo, autostima, rispetto verso l’avversario, verso le figure dei maestri, riscoprendo quella forma di rispetto verso le figure autorevoli che non sono altro che il parallelismo dei professori dietro i banchi di scuola che devono essere in grado do fare quadrato con i loro alunni. Se il campione tarda ad arrivare, non manca il lavoro di ritessitura della cultura della boxe attraverso le forme d’arte, renderla nuovamente protagonista.
La boxe per ritornare ad essere amata, letta dal pubblico, riconosciuta e voluta nelle piazze, deve essere raccontata ancora e non solo attraverso i libri, ma attraverso le opere degli artisti, farla danzare con le arti, rimetterla in gioco attraverso politiche sociali in grado di leggere i reali bisogni dei quartieri e del territorio per regalarci l’occasione di chiederci attraverso la sua grande storia: noi per cosa lottiamo veramente, cosa siamo disposti a mettere sul ring e quali valori mi servono per crederci sempre? Queste domande non riguardano solo il ring, ma la nostra società odierna. La boxe ha tutte le carte per ritornare a svegliare intere città nella notte. Per questo A corta distanza è un libro progetto. Perché la sua divulgazione desidera accorciare le distanze fra i giovani e la nobile arte, i media e le città. Questa raccolta di 29 interviste paradigmatiche sarà presentato in numerose scuole in tutta la Lombardia e l’interesse dei docenti e dei presidi che accolgono la proposta di portare il libro nelle classi con grande speranza e curiosità, riconoscendolo come un’occasione preziosa di mostrare ai ragazzi testimonianze di resilienza, coraggio, icone sportive suggestive da riscoprire mi riempie di orgoglio e riconferma il valore che ha sempre avuto il pugilato per gli italiani.
Questo libro è un invito a scoprire il pugile che abita in ognuno di noi. Solo così quando un ragazzo o ragazza o un genitore si troveranno a guardare un incontro di pugilato in tv o nel loro quartiere , avranno gli occhi per vedere la boxe: per che cosa sta lottando quel giovane? Cosa è veramente la violenza? Abbiamo dato al lettore la possibilità di riconoscere il medico all’angolo, il pathos del maestro emozionato nel vedere i suoi atleti mettere sul ring impegno, rispetto e fatica, riconoscere la danza del terzo uomo sul quadrato, il punto di riflessione dei grandi giornalisti come Minà e Orlando che attraverso la boxe parlano della società di oggi e molto altro ancora».
Immaginiamo una ragazzina o un ragazzino insicuri, timidi, con poca autostima. In palestra cosa potrebbero cambiare?
Virginia:«La cosa che un allenatore insegna a chi si presenta al primo allenamento è: mettiti in posizione ragazzo, alza lo sguardo e conosci il tuo avversario. Ecco che cosa potrebbe cambiare in palestra: che se prima se ne è sprovvisti, da lì si esce con in tasca un metodo per interpretare la vita e a orientarsi nelle sue mille giravolte. La boxe consegna uno strumento che, a dispetto di quanto credano in molti, non è la forza nelle mani, quella la possono avere tutti anche senza allenamento. La boxe offre un paio di occhiali che ci permettono di vedere un mondo con nuovi colori, fatto di relazioni che si affrontano, di regole da seguire, di situazioni da studiare e conseguenze da calcolare. Con calma, serietà e perseveranza. Guardando in faccia l’avversario che spesso è la vita stessa».