Coronavirus e donazioni: la ragione si dà ai matti

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Coronavirus e donazioni: la ragione si dà ai matti

Sul virus, io lo chiamo così: il virus, omettendo la Corona che a mio parere sta meglio in testa a Sua Maestà Elisabetta II Regina del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, che in capo a un bastardissimo microbo, è stato scritto e detto tutto. E altro viene raccontato ogni giorno, con ogni mezzo tra quelli disponibili. Io ho una mia precisa opinione, ma non sono nessuno per diffonderla e la tengo per me, di sicuro non ci rinuncio perché la libertà di pensiero pare sia ancora tra i diritti costituzionali che non sono stati sospesi. La conoscono mia moglie, che la condivide e credo che in 13 anni di matrimonio non sia successo spesso di essere d’accordo, e i miei amici più stretti. Almeno loro, se sarà il caso, potranno dirmi che avevo ragione. Io adoro sentirmi dire che ho ragione, e, visto che la ragione si da ai matti, amo alla stessa maniera sentirmi dire che sono matto. Ho anche una figlia che, prima che fosse teorizzato l’autismo, sarebbe stata definita matta, dunque il  cerchio è chiuso, i pezzi del puzzle perfettamente incastrati.

C’è però un aspetto interessantissimo legato al virus  di cui credo di poter parlare senza creare allarme e che non mi pare essere stato evidenziato da nessuno: per la prima volta nella storia delle catastrofi naturali viene chiesto alle vittime di effettuare delle donazioni in favore di se stesse! Come se dopo un terremoto venisse chiesto a chi ha perso la casa  di donare denaro per la ricostruzione. Perché se è vero che c’è chi è più colpito, perché ha perso un familiare o è stato qualche settimana in rianimazione tra la vita e la morte, come dopo un terremoto c’è chi oltre alla casa ha perso anche e soprattutto  la famiglia, è altresì vero che siamo tutte vittime in questa storia, chi più chi meno. A tutti sono state enormemente limitate le libertà personali presenti in costituzione, tutti siamo potenzialmente a rischio contagio, molti, soprattutto i commercianti, i ristoratori, i baristi, le partite IVA, gli alberghi e tanti, tanti altri, non stanno lavorando e non stanno guadagnando il necessario per mantenere le loro famiglie. I disabili, e la storia di mia figlia “matta” ve l’ho raccontata su queste webcolonne qualche giorno fa, si sono visti sospendere praticamente ogni forma di assistenza.

Le sottoscrizioni che sono state aperte però, e sono tantissime e  meritevoli di attenzione, chiedono a noi vittime denaro per permettere agli ospedali, alla protezione civile di acquistare apparecchiature e predisporre spazi per curarci. Come se noi vittime non stessimo pagando tasse sui guadagni del nostro lavoro da anni. Anzi da generazioni, prima di noi i nostri genitori e i nostri nonni, affinché gli ospedali ci curino se stiamo male e la protezione civile ci soccorra in caso di emergenza. Pensiamoci. Poi magari se qualche euro vi avanza, donate, perché la responsabilità di tutto ciò non è di chi sta cercando di raggranellare delle somme per acquistare qualche respiratore e qualche letto in più, però pensateci.

Francesco Beltrami nasce 55 anni fa a Laveno sulle sponde del Lago Maggiore per trasferirsi nel 2007 a Gozzano su quelle del Cusio. Giornalista, senza tessera perché allergico a ogni schema e inquadramento, festeggerà nel 2020 i trent'anni dal suo primo articolo. Oltre a raccontare lo sport è stato anche atleta, scarsissimo, in diverse discipline e dirigente in molte società. È anche, forse sopratutto, uno storico dello sport, autore di diversi libri che autoproduce completamente. Ha intenzione di fondare un premio giornalistico per autoassegnarselo visto che vuol vincerne uno e nessuno glielo da.

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