Piena pianura lombarda. Meno di 6mila anime. Una chiesa, quella di Santa Maria Assunta, nota per il concerto di 10 campane in si1 cantante e i giardini dedicati a Don Luca Passi come luogo di ritrovo cittadino. Unico svago, i pub e il Palio dell’Assunta, che all’inizio di settembre ogni anno contrappone quattro contrade. A Calcinate, provincia di Bergamo, hanno allevato cacciatori di reti e dominatori dell’area di rigore, mantenendone immutati i volti da bravi ragazzi: chiedere conferma ad Andrea Belotti. E’ qui che il “gallo”, come il suo concittadino Manolo Gabbiadini (fratello di Melania, calciatrice e attaccante dell’AGSM Verona, del quale è anche capitano, e della Nazionale femminile)- rinato in Premier League con la maglia del Southampton, ha mosso i primi passi da calciatore, prima di intraprendere il viaggio di andata e ritorno verso Sud (dall’Albinoleffe al Palermo, fino al Torino) che gli ha spalancato le porte della Nazionale azzurra e quelle di tante formazioni avversarie. L’attaccante granata è la vera e propria sorpresa del campionato, nonché il centravanti più desiderato d’Italia: sulla sua maglia numero 9 “pende” una clausola da 100 milioni, mentre gli occhi delle big europee sono tutti puntati su di lui. 25 realizzazioni in 30 presenze (23 in 27 in campionato) tra Serie A e Coppa, unico italiano oggi in grado di tener testa a Dzeko e Icardi. La rete messa a segno domenica contro l’Udinese, condita da due traverse e un centro annullato per fuorigioco, oltre a interrompere un digiuno di un mese –tempi biblici per Belotti nel suo rapporto con la porta avversaria- ha rappresentato la numero 45 in serie A, in 100 presenze: quasi una rete ogni due partite. Numeri importanti, a 24 anni da compiere e con una carriera ancora tutta da scrivere.
Numeri ai quali sommare i 12 centri in Lega Pro con la maglia dell’Albinoleffe e i 10 del primo anno a Palermo, in serie B. Corre, attacca gli spazi, stacca bene di testa e fa da sponda: il repertorio del “Gallo” è completo, e fa la somma con la scarsa attitudine agli infortuni. Restando al triennio in serie A, ha saltato appena sei partite su 106. Tre panchine per scelta tecnica, due turni ai box per uno stiramento alla coscia e uno per squalifica. Alta fedeltà, al campo e alla maglia, come le dichiarazioni post Torino-Udinese hanno confermato: “Voglio fare ancora tanti gol con la maglia granata, qui voglio arrivare lontano”. Messaggi d’amore, che allontanano le sirene di Premier e Liga, che già hanno risuonato alle porte del presidente Urbano Cairo. E la cui eco è più potente anche grazie alle reti con la maglia dell’Italia: 3 in sette presenze da settembre ad oggi.
Vette altissime, come quelle delle Alpi Orobie che il piccolo Andrea vedeva dalle finestre di casa. E’ a Calcinate che gli hanno dato quel soprannome: il Gallo. Perché da piccolo inseguiva i galli nel pollaio di sua zia. Così non ha saputo dire “no” alla proposta del suo amico Juri Gallo: “Ho iniziato con questa esultanza e non ho più smesso”. Da ragazzino giocava on-line con gli amici alla Playstation, scegliendo spesso il Liverpool e ascoltava nel suo lettore Mp3 i Modà e Max Pezzali. E se non avesse sfondato nel calcio? Avrebbe fatto il geometra. “Mi sarebbe piaciuto approfondire quel campo” ha ribadito spesso. Sarà per quello che va d’amore e d’accordo con l’estro del calcio, rappresentato da Dybala a Palermo e Ljajic a Torino, sponda granata. “Caratterialmente sono socievole, aperto e do tutto subito” raccontava tre anni fa ai microfoni di VivoAzzurro. Non sappiamo se legga Fabio Volo, altro suo concittadino celebre, ma di certo non gli avrebbe fatto piacere essere marcato da Pietro Vierchowod, lo Zar, difensore rude e mastino come pochi. Per fortuna di Belotti, di un’altra epoca. Perché Andrea vive per la porta avversaria: “Di culo o in rovesciata: la gioia è sempre la stessa”. Come canta il Gallo.