La Football Association ha iniziato ad impegnarsi per cercare di capire se i calciatori siano a rischio di possibili disturbi al cervello, nel corso della propria vita, per i colpi di testa effettuati durante la carriera.
La federazione inglese tratta l’argomento con la PFA (l’Associazione calciatori professionisti del paese anglosassone) già dal 2014, con il desiderio di approfondire un tema che sta suscitando crescente interesse nel mondo del calcio; tuttavia, entrambe le parti in causa ritengono che sia necessario intraprendere un approccio internazionale riguardo alla vicenda e stanno tentando di includere nel dibattito l’organismo più importante nel mondo del football, la FIFA.
Quest’ultima, però, appare piuttosto disinteressata in riferimento al tema e dal momento che la FA ultimamente è stata piuttosto criticata in patria, poiché accusata di inefficienza al riguardo, l’organismo nazionale inglese ha deciso di entrare maggiormente a fondo nel problema insieme ad alcuni partner dello stesso paese della terra d’Albione.
Un portavoce della FA ha affermato che l’istituzione continuerà a lavorare con la FIFA per cercare risposte affidabili sulla possibilità che i colpi di testa nel calcio siano legati a malattie del cervello nella vita futura degli atleti; allo stesso tempo, comunque, è stato aggiunto che una ricerca basata unicamente nel Regno Unito su questo problema può rappresentare la soluzione migliore e più veloce.
Oltre al dialogo con l’associazione dei calciatori, la FA sta portando avanti discussioni con la Football League e la Premier League; si spera, inoltre, che in breve tempo i rappresentanti di altri sport possano interessarsi alla vicenda e provvedere a fornire fondi in merito ad essa.
Il portavoce della FA non ha effettuato commenti riguardo a quali altri sport possano essere coinvolti nella ricerca ma sembra che la lega nazionale di rugby e l’associazione dei giocatori annessa siano interessati ad approfondire lo studio.
Il nuovo capo della sezione medica della FA, Charlotte Cowie, sta conducendo in prima persona i colloqui con i massimi esponenti del calcio inglese, sotto la supervisione del boss dell’area team strategy e performance dell’associazione, Dave Reddin.
Il rapporto tra disturbi al cervello e calcio ha iniziato ad emergere presso i media da quando l’ex attaccante dell’Inghilterra e del West Bromwich, Jeff Astle, morì a causa di un problema degenerativo al cervello nel 2002, all’età di 59 anni.
Un medico legale riportò che il problema di salute di Astle era da addure al lavoro dell’atleta, un chiaro riferimento alla possibilità che colpire violentemente la sfera con la testa possa aver influito sulla situazione clinica dell’ex calciatore.
A partire da quel caso, diversi ex giocatori inglesi si sono trovati costretti ad affrontare situazioni simili, tra cui Jack Charlton, Martin Peters, Nobby Stiles e Ray Wilson, membri della nazionale che nel 1966 vinse i Mondiali di calcio.
Dawn Astle, figlia di Jeff, si batte da tempo affinché sulla materia possano essere portate avanti ricerche approfondite e fu tranquillizzata in merito sia dalla FA che dalla PFA, le quali spiegarono che erano iniziato colloqui con la FIFA per investigare meglio la faccenda.
Al riguardo, ascoltata circa un mese fa, la signora Astle ha detto: “Perché ci è voluto oltre un anno e mezzo per arrivare a questo punto? Non appena ho saputo che gli organismi inglesi stavano parlando con la massima istituzione calcistica, ho pensato che fossimo vicini ad una svolta ma poi la FIFA si è trovata in mezzo a scandali enormi. Si tratta di una delle più importanti ricerche mediche inerenti il mondo del calcio ed è ridicolo che non si riesca a portare avanti per poter giungere a conclusioni definitive. E’ un fallimento clamoroso, oltre che una grossa mancanza di rispetto nei confronti di quelle famiglie di calciatori che sono costretti a vivere con danni al cervello.”
Il grido di dolore ed allarme della Astle sembra sia stato finalmente ascoltato dalla FA, che comunque rivendica i progressi delle ricerche fatte sul campo anche nel corso delle ultime due stagioni calcistiche, durante le quali sono state portate avanti diverse discussioni con enti nazionali.
Ad ogni modo, una grande quantità di esperti in materia ritiene che la signora Astle abbia ragione e che ci sia bisogno di molta più attenzione al riguardo; proprio come sta avvenendo negli Stati Uniti, dove i colpi di testa per i calciatori al di sotto degli undici anni di età sono stati vietati in attesa di ulteriori studi sul problema.
“Riguardo agli infortuni legati alla testa, abbiamo conoscenze molto più approfondite rispetto agli anni ’60 e ’70, periodi nei quali gli atleti colpivano ripetutamente palloni molto pesanti con il capo” ha affermato Peter McCabe, chief executive dell’associazione sui danni al cervello chiamata Headway. “Tuttavia, ancora è incerto e poco chiaro in quale misura colpire di testa i vecchi palloni da calcio possa aver contribuito a sviluppare determinate condizioni neurologiche nei pazienti. Sono stati pubblicati, o sono in fase di pubblicazione, diversi studi su bassa scala in riferimento a tale problematica ma di certo si può e si deve fare molto di più ad ogni livello.“
Il dottor Michael Grey dell’Università di Birmingham crede, invece, che il dibattito inerente i vecchi palloni di cuoio sia una falsa pista da seguire, poiché il fattore principale da seguire in questi studi, a suo modo di vedere, è da ricollegare non al peso della sfera ma alla sua velocità. Questi crede anche che sia stato prematuro deliberare che i bambini al di sotto degli undici anni non possano colpire il pallone con la testa ma che, comunque, sia necessario e prioritario sviluppare ulteriori conoscenze in merito.
“Questo tema, che è molto importante, possiede un’eguale quantità di ottimi studi scientifici e di opinioni infondate. Ritengo che le autorità calcistiche debbano seguire la via di ricerche del tutto indipendenti.” ha detto Grey.
Come può, tuttavia, una ricerca essere indipendente se viene sponsorizzata dal mondo del calcio? Questo il dilemma più grande secondo il parere del dottor Andrew Rutherford della Keele University. Rutherford pensa che la maggior parte dei danni al cervello per i calciatori provenga da scontri fisici testa contro testa o da gomitate al capo e ha anche posto una domanda in merito: “I calciatori sono veramente più sensibili a certi danni cerebrali oppure sembra essere così soltanto perché ogni caso legato ad essi viene ampiamente trattato dalla stampa?” Egli, comunque, si unisce al coro di coloro che richiedono più ricerche sul tema e sperano di ricevere fondi per studiare a fondo il caso.
“Sarebbe spiacevole se i grandi enti sanitari avessero l’idea che il mondo del calcio debba occuparsi del problema, visto che le autorità calcistiche sono sempre state riluttanti a farlo,” ha affermato Rutherford. “Riscontrare un problema per queste ultime, infatti, aprirebbe scenari inesplorati: sia le massime organizzazioni del calcio sia i club potrebbero diventare oggetto di azioni legali, perdendo così diversi soldi. In tal senso, il comportamento della FA nel corso degli ultimi decenni, come rivelato dalla famiglia Astle, non lascia spazio a dubbi purtroppo.“