Prima dei match in NFL, come in tutti gli sport Pro americani, si suona e si canta l’inno. E’ un momento solenne, meraviglioso e molto sentito perché ci può essere un simbolo della nazione, come un veterano, o una grande star o spesso una voce bianca ma prima di San Francisco 49ers contro Green Bay Packers, un’amichevole di lusso tra due squadre che hanno fatto la storia del football, qualcuno non la pensava così e quel qualcuno è Colin Kaepernick.
Cosa è successo? L’inno lo si segue tutti in piedi, bocce cucite o a cantare, mano sul petto ma Kaepernick è rimasto seduto, in disparte e lo scatto ha fatto il giro del web dato che all’inizio nessuno ci aveva fatto caso. Nel post partita la domanda è stata d’obbligo ma il talentuoso QB non si è nascosto dietro a nulla ed anzi ha rincarato la dose: “Mi rifiuto di alzarmi e mostrare orgoglio per la bandiera di un Paese che opprime la gente di colore e le minoranze. Per me questa presa di posizione è ben più importante del football e sarei un egoista se mi girassi dall’altra parte. Ci sono corpi per le strade e gente che va in vacanza pagata e non paga le conseguenze per aver assassinato qualcuno”.
Il giocatore ha voluto far sentire la sua voce perché pur essendo stato adottato da una famiglia di bianchi, è afroamericano ed ha origini italiane da parti di madre quindi doppia minoranza e non si sente più in grado di sostenere questo peso dentro ed ha voluto esprimerlo in tutto il suo sdegno.
La posizione sarebbe anche legittima, la Corte Suprema degli Stati Uniti tra l’altro nel corso degli anni ha molto ridotto le pene per il vilipendio alla bandiera ed allo Stato fino ad annullarle del tutto e quindi in termini legali Colin non avrà problemi, gli stessi 49ers hanno rilasciato un comunicato in merito ribadendo l’importanza dell’inno, ma riconoscendo la libertà individuale di partecipare a tale cerimonia.
Oggi Colin Kaepernick rischia il taglio, sia per demeriti sportivi, perché non riesce ad esprimere appieno tutto il suo potenziale e con il nuovo tecnico presumibilmente avrà meno spazio, ed anche per i problemi che potrebbe creare questa presa di posizione durante l’inno.
In un Paese che non si nasconde, tutto questo avrebbe addirittura potuto portare ad un serio dibattito sulla questione delle minoranze, dato che sul territorio USA c’è una nuova battaglia portata avanti dal movimento del Black Lives Matter da un paio d’anni a questa parte, dall’escalation di violenza che la polizia USA perpetua ai danni dei cittadini afroamericani ed ispanici, con le proteste che sono riprese dopo i fatti di Minnesota e Louisiana, una lotta per denunciare le brutalità della polizia e la discriminazione.
Il quarterback ha più volte sostenuto il movimento tramite le proprie pagine social e non è il solo, Lebron James e Carmelo Anthony per esempio ne parlano nelle loro uscite pubbliche, ed anche grazie alle star dello sport il BLM sta diventando a tutti gli effetti un movimento sociale importante e riconosciuto.
Un articolo molto interessante sul The Athlantic a firma di Robert O’Connel, un famoso scrittore di San Francisco, si è però domandato il perché di tutta questa polemica e perché gli americani stanno prendendo la presa di posizione di Kaepernick come un insulto alle truppe. Ha ammesso che gli americani sono molto suscettibili ed hanno criticato anche la postura di Gabrielle Douglas mentre risuonava l’inno americano per festeggiare la medaglia d’oro a Rio 2016 nella ginnastica (la Douglas non aveva la mano sul cuore) ma nessuno si è sognato di invocare le truppe. Lo scrittore ha “giustificato” questo atteggiamento con la celebrità e col fatto che la NFL ha la bandiera americana nello stemma stesso e questo impone agli atleti un dovere maggiore rispetto ai loro colleghi degli altri sport. Di fatto le forze armate fanno parte della lega, i militari sono presenti sempre prima della partita e sul campo, mandano i loro video.
Avendo capito di essere caduto in questo equivoco, Kaepernick ci ha tenuto a specificare, a modo suo, che “Ho grande rispetto per gli uomini e le donne che hanno combattuto per questo Paese e la loro lotta per la libertà, perché combattono per la gente, combattono per la libertà e la giustizia, per tutti ma tutto questo non sta succedendo, non tutte le libertà sono tutelate, non viene mai fatta giustizia”.
Myke Tavarres, giocatore dei Philadelphia Eagles, ha inoltre ammesso che se anche si alzasse e cantasse l’inno, il suo pensiero sarebbe lo stesso di Colin ed anche lui aderisce al movimento del Black Lives Matter.
Kaepernick non è neanche il primo atleta a rifiutare di salutare la bandiera perché già negli anni ’90 Mahmoud Abdul-Rauf, nato come Chris Jackson prima di convertirsi all’Islam, quando giocava in NBA per i Denver Nuggets prese posizione dicendo di non voler onorare un simbolo di tirannia. Stessa cosa fece Carlos Delgado, nel baseball, per protestare contro l’invasione dell’Iraq.