Ciao, sono Maria. Ma a noi chi ci pensa?

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Ciao, sono Maria. Ma a noi chi ci pensa?

Mi chiamo Maria, ho nove anni e sono autistica. Mio padre ha il vizio di mettermi in bocca i suoi pensieri. Dice che lo fa per difendere, per quel che può, i miei diritti. Io non so se è vero, io vivo in un mondo mio. A volte sono qui, altre, la maggior parte, sono lontana. Faccio cosa strane, mangio legna, i pastelli, a volte i mobili. Sì proprio i mobili di casa. Bisogna sempre che i grandi facciano molta attenzione a me.

Vivo in Piemonte e ormai non vado a scuola da tre settimane. Nemmeno ho più i miei spazi al pomeriggio in una Associazione dedicata a noi bambini un po’ a speciali. Non solo quelli dedicati al gioco, anche quelli relativi alle terapie. Non faccio le mie sedute di logopedia e nemmeno di psicomotricità. Nemmeno posso andare in piscina, la mia ora più bella della settimana.

Mia mamma lavora in un comune e in questo momento è molto presa, di me si occupa il mio papà, da solo. Io non chiedo di giocare in compagnia o di andare a scuola. Perché però non posso avere almeno le terapie? Perché il direttivo dell’Associazione che me le assicura, a pagamento, le ha sospese? Sanno che potrei perdere mesi e mesi di lavoro e dei progressi che ho fatto? Al momento in cui il mio papà scrive queste righe ci sono ancora aperti i bar, ci andiamo quando usciamo per prendere il pane e facciamo due parole con la mia amica Valentina. Stiamo distanti, cerchiamo di provocare problemi a  nessuno, ma io non posso stare sempre a casa a mangiare i mobili.

Sembra che ora chiuderanno proprio tutto. Già è difficile per un bambino normale, ma per me? Sono anche epilettica. Lo scorso settembre ho avuto una crisi e non mi svegliavo più. Mi hanno portata dall’ospedale di Borgomanero a quello di Novara con un furgone bianco velocissimo che chiamano Unità Mobile di Rianimazione. Quando è partito io avevo vicino una dottoressa, che è stata il mio angelo custode. La mia mamma e il mio papà però non sapevano se mi avrebbero rivista viva.

Voi siete sicuri che tutto questo stare in casa rinchiusa nel mio mondo col mio papà che cerca di non farmi mangiare legna, non mi farà male? E se mi succedesse di nuovo? Perché non posso nemmeno vedere le mie terapiste, i miei punti di riferimento? E’ giusto tutto questo? E il mio papà? Che vita sta facendo il mo papà? Il mio papà piange. Dite che le vite delle persone anziane valgono quanto le altre e devono essere tutelate. E la mia di vita quanto vale? Voi lo sapete cosa si prova a far parte di quelli che vengono chiamati ultimi? E guardate le mie foto qui accanto perché io non mi nascondo e non mi nasconderò.

Francesco Beltrami nasce 55 anni fa a Laveno sulle sponde del Lago Maggiore per trasferirsi nel 2007 a Gozzano su quelle del Cusio. Giornalista, senza tessera perché allergico a ogni schema e inquadramento, festeggerà nel 2020 i trent'anni dal suo primo articolo. Oltre a raccontare lo sport è stato anche atleta, scarsissimo, in diverse discipline e dirigente in molte società. È anche, forse sopratutto, uno storico dello sport, autore di diversi libri che autoproduce completamente. Ha intenzione di fondare un premio giornalistico per autoassegnarselo visto che vuol vincerne uno e nessuno glielo da.

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