Chi era Gaetano Scirea
Il 3 settembre 1989 moriva Gaetano Scirea, un campione vero, uno sportivo d’altri tempi, tragicamente scomparso in un incidente stradale in Polonia 31 anni fa. Il nostro tributo ad un uomo senza macchia.
Lui era quello lì.
Era quello che non appariva mai, ma si avvertivano peso e presenza, cacchio se si avvertivano.
Era quello che se guardi bene la foto di Tardelli che esulta al mundial, urlando come un coyote, è dietro che con una esultanza composta ha una faccia da bimbo felice, come di chi ha trovato sotto l’albero a natale la coppa del Mondo.
E sempre lui, ogni tanto si presentava a casa sua con un po’ di sconosciuti, erano tifosi della Juve arrivati da lontano ed esclamava a Mariella attonita “mi sembra il minimo che mangino un boccone con noi”.
Che una volta ebbro di felicità e festeggiamenti per lo scudetto appena vinto, fece l’alba con i compagni in un locale, poi prima di andare a casa, si fermò a comprare il giornale per tenersi il ricordo dello scudetto stampato tra le righe. Ma vide gli operai della Fiat che stavano andando a lavorare e si vergognò, si vergognò tantissimo che dovremmo imparare tutti a vergognarci così. E il giornale non lo comprò più.
Che alla moglie diceva “abbiamo tutto, non voglio chiedere l’aumento di stipendio, accontentiamoci”. E si accontentavano. Ma una volta Boniperti glielo disse: “se dai un pestone senza motivo a un avversario, ti aumento lo stipendio”. Non riuscì.
Era lui quello che sedava le risse eccessive portando via compagni e avversari e a dire con quella voce sottile ma ferma “ma non vi vergognate? Vi stanno guardando le vostre mogli e i vostri figli”. Era quello lì, lui. Amico di Dino Zoff che lo descrive “gioviale e simpatico”. Che detto da Dino Zoff non lo sai che pensare.
Più bravo come libero che come enologo, parola di moglie. Competitivo che se voleva imparare un nuovo sport lo imparava fino a possederlo. A suo papà aveva promesso che avrebbe preso il diploma, lo prese poco prima del ritiro dalle scene, studiava in ritiro e fu una fatica solo in matematica, ma non era preciso, dice sempre Mariella, la moglie. Che addirittura fece il giornalista durante Messico ‘86, per la testata “i Siciliani” fondata da Pippo Fava ucciso due anni prima.
Era lui che ogni partita, salutava un punto della tribuna dove c’erano moglie e figlio. Suo figlio Riccardo che dice “non poteva vedermi, ma io lo so che quel saluto era solo per noi”, che gli regalò un vinile al posto di un CD di un disco che Riccardo voleva: “vedrai che questo rimane”.
Era un libero, era IL libero. Per, ruolo e per testa. Nato centrocampista aveva i piedi buoni e se non ci credete andate a vedere l’opera d’arte che portò Tardelli a segnare nel Mundial. Un colpo di tacco (!) verso Bergomi e palla indietro che scotta per il povero “Zio” e allora via, in mezzo per il Coyote che sta arrivando con lingua di fuori e furia. Ed è gol. E nonostante siano trent’anni che Gaetano Scirea non c’è più, portato via da un incidente d’auto assurdo, noi siamo qui a ricordare quel momento, quel passaggio perfetto, quel tacco da playmaker scafato, altro che difensore ruvido, quel viso che ride come un bimbo dietro Tardelli che corre invasato. Lo diciamo tre volte, una per ogni dieci anni che non c’è più. Era lui, Scirea, campione del mondo, campione del mondo, campione del mondo.
