“Ancora adesso spesso ancora penso a lui” E chissà se il pensiero di Cheick Diabatè, gigante maliano di 194 cm, attaccante del Benevento, autore del goal vittoria contro il Crotone dodici minuti dopo il suo esordio in Serie A, sia andato proprio al suo amico, con cui giocava a pallone da bambino, scomparso troppo presto. E chissà se il pensiero non sia andato anche all’altra tragedia della sua infanzia difficile: la scomparsa prematura della mamma che l’ha fatto crescere prima del tempo, non solo in altezza, fino a farlo arrivare spaesato e isolato in Francia a soli 18 anni.
“Il mio nome è Chuck” come lo chiamavano a Bordeaux appena arrivato dall’Africa. Le cicatrici delle due tragedie della sua infanzia hanno lasciato qualcosa, e questo qualcosa è un qualcosa di positivo: l’amore verso tutti. “In quel momento capii che la morte può arrivare prima di quanto uno creda. Per questo ho deciso che la vita è meravigliosa e che va vissuta a pieno. Non serve a niente essere cattivi. Bisogna amare. Amare tutti, anche quelli che ti odiano. Detestare non serve a niente”.
Non solo l’infanzia è stata difficile per il gigante Chuck, che ha faticato molto ad integrarsi appena arrivato a Bordeaux a causa di una sua abitudine genuina e rispettosa ma fastidiosa ed incompresa agli occhi degli europei: “Quando sono arrivato a Bordeaux nel 2006, a 18 anni, non parlavo il francese e non guardavo mai le persone negli occhi. Per me era quella una forma di rispetto perchè così facevo con mio padre. Non voleva dire non ascoltare. Ma in Francia non è così e non venni subito capito. Questo mio atteggiamento mi costò la possibilità di giocare per circa un anno e mezzo.
Non solo gli allenatori ma anche i tifosi erano pieni di pregiudizi nei suoi confronti: “Ma chi è quel coso lungo e scordinato? Uno così alto non può giocare a pallone”. Anche i giornalisti spesso lo incalzavano con ironia dicendogli che non aveva tecnica: “Già, la tecnica, che cos’è per un giocatore della mia stazza e con il mio fisico? Per un attaccante come me è posizione, capacità di controllare il pallone e di piazzamento davanti alla porta. La tecnica per uno come me la misurano i gol”. E da questo punto di vista Diabatè ne ha da vendere: 63 gol in 144 gare, 11° miglior marcatore nella storia del Bordeaux davanti a gente come Micoud e Dugarry. Il suo allenatore l’aveva rinominato il “Peter Crouch di colore” così sgraziato ma così efficace.
Dalla Francia con il Bordeaux alla Francia con il Metz, in mezzo una parentesi turca non troppo felice dove ha segnato pochissimo. Ora l’approdo a Benevento dove insieme a campioni sul viale del tramonto come Sandro e Sagnà è chiamato a un vero e proprio miracolo sportivo, ovvero la salvezza dei sanniti. Intanto il primo tassello è stato messo e lui ne è stato l’assoluto protagonista: Benevento-Crotone 3-2. Il primo sigillo italiano di Cheick “Chuck”Diabatè, il gigante maliano che ama e, soprattutto, segna.