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Che cosa è il Natale? Una festa, certo. Un trionfo del consumismo o di frasi ciniche per far vedere quanto siamo disillusi, come fosse una medaglia alla memoria dei buoni sentimenti appuntata al petto. Un modo per ritrovarsi. Oppure proprio la sua etimologia. Natale è nascere. Natale è venire al mondo. O tornarci per un puro miracolo. Ne sa qualcosa Emiliano Mondonico.

Allenatore di 70 anni. Per chi non lo conoscesse, vi snocciolo solo un paio di episodi del suo curriculum. Nel 1987 – 88 è allenatore dell’Atalanta, la squadra si trova in serie B, retrocessa l’anno prima, ma essendo stata in finale di coppa Italia con il Napoli campione, il posto della vincitrice della coppa nazionale va alla seconda. Mondonico porta una squadra di B fino alle semifinali con partite esaltanti. Sconfitta solo dalla futura vincitrice del torneo. Nel 1992 portò il Toro in finale di Coppa Uefa, persa ai danni dell’Ajax ma con due pareggi, 2-2 a Torino e 0-0 ad Amsterdam, il ritorno fu un trionfo granata di pali e traverse e bestemmioni alla sfortuna. Inclusa una sedia alzata in segno di ribellione, per un rigore negato e sacrosanto, da Mondonico. Uomo normalmente molto mite. Mondonico, il Mondo per gli amici, a settant’anni è al secondo tumore da combattere, ne avrebbe per mandare a quel paese mezzo mondo e pensare solo a se stesso. Invece no, non solo non ha perso il suo cuore spazioso e attento a cose di calcio, ma ha fatto di più.



Un giorno il Mondo bussa alla porta del Dottor Giorgio Cerizza. È uno psichiatra che ha fatto cose egregie guarendo da molte forme di dipendenza i suoi pazienti, basando tutto sulle relazioni sociali. Cura dalle dipendenze da sostanza a quelle da gioco. Il mondo ne sente parlare e chiede se può dare una mano, il dottore nemmeno ci crede all’inizio. E ringrazia. Il Mondo risponde: “sono io che ringrazio voi, mi fate sentire utile”. E così il Mondo e il dottore, mettono su una squadra che fa dei tornei e allenamenti, in cui i giocatori sono i pazienti. Lo spirito di questa squadra col tempo, è quello di chi a mollare non ci sta, si combatte contro le dipendenze fuori, si impara ad aiutare il compagno di squadra dentro. La squadra cambia sempre, alcuni poi vanno via. E non è facile, c’è chi ha avuto dipendenza da alcol e droga, ma a giocare ci sa fare eccome, Mondo lo prende a parte e gli dice “sei bravo, ma non ci sei solo tu, passa questa palla”, oppure quello che una volta non giocava ed è andato a brutto muso contro il Mondo, che per risposta, non ha fatto un fiato. E quello il giorno dopo si è scusato. E non parliamo di mammolette. Lo stesso ragazzo, qualche giorno dopo aveva lo stesso giorno processo ed allenamento. Ha fatto spostare il processo, stava troppo bene col Mondo. Sì, forse a volte il calcio è un metadone dell’anima, a volte guarisce. Ma non solo chi ha dipendenza, anche chi ha voglia di essere ancora in gioco dopo due tumori, come il Mondo. Una bella storia di Natale, inteso come nascita, o rinascita.

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