Cesare Maldini: il simbolo di un calcio che non c’è più
Uomo equilibrato, lungimirante. Cesare Maldini ci salutò il 3 aprile del 2016 con l’autorevolezza che lo ha contraddistinto, a 84 anni, in una triste notte. Lui, che non ha mai utilizzato stratagemmi per restare sulla cresta dell’onda, mai una parola fuori posto o una ricerca spropositata dei favori mediatici. L’ex ct della Nazionale è uno degli ultimi “signori” di un calcio che non c’è più, quello in cui il valore dell’uomo veniva riconosciuto prima di quello dell’atleta.
Cesare Maldini porta con sé un primato indelebile: le sue braccia, le prime della storia di un italiano, alzarono al cielo la Coppa dei Campioni a Wembley, nella finalissima vinta dal Milan per 2-1 contro il Benfica.
Sul tetto d’Europa dieci anni dopo il suo esordio con la squadra di casa sua, la Triestina. Poi la straordinaria carriera da difensore al Milan, raccontata in 347 partite disputate, quattro scudetti vinti, una Coppa Latina e, appunto, una Coppa dei Campioni. La fascia di capitano portata al braccio con grande senso di responsabilità era simbolo del suo essere riferimento per tutti, dalla società ai compagni di squadra, dagli allenatori ai tifosi.
E così, giunto a fine carriera, Maldini ebbe l’opportunità di cambiare visione da giocatore ad allenatore, collaborando i grandi di quel tempo: Nereo Rocco ed Enzo Bearzot. Una scuola di valori, oltre che di campo e strategie, che gli tornò utile qualche anno dopo alla guida della Nazionale U21, dove riuscì a costruire puzzles perfetti con giovani di prospettiva ma non ancora nel pieno della maturità calcistica. La costanza, la pazienza e la cultura del lavoro, trasmessi sempre con toni pacati ma decisi, portarono l’Italia baby a conquistare il titolo europeo tre volte di fila.
Dal 1996 la guida alla Nazionale maggiore: l’eliminazione sfortunata agli ottavi di finale dei mondiali di Francia 1998 con la nazionale di casa e le sue dimissioni, anche in questo caso con signorilità e senza rumore. La sua ultima esperienza alla guida del Paraguay, ma anche in questo caso l’impresa ai Mondiali di Corea del Sud e Giappone 2002 si fermò agli ottavi di finale.
Cesare Maldini lascia una grande eredità: i valori umani nel calcio contano più di mille parole, i successi sono solo il naturale frutto di un lavoro svolto nel tempo con impegno e abnegazione e i segreti di una squadra restano dentro lo spogliatoio.
Ciao, Capitano!