“Il caso Anna K.”: intervista all’autore Dario Torromeo
Anna Kournikova, un nome che evoca fascino, alone di supposti peccati e quell’aura di leggenda che tocca tutti coloro che hanno scelto di abbandonare la scena, quale che sia, quando sono ancora nell’età più verde o, come in questo caso, anticipando persino quella particolare fase anagrafica. Nel bel libro di Dario Torromeo, “Il caso Anna K.”, il tennis è tema portante e al tempo stesso volano per arrivare a parlare d’altro, tanto altro. Lo si evince dalla piacevolissima chiacchierata durante la quale l’autore ci ha spiegato la genesi del libro, le fonti della sua ispirazione.
Dario Torromeo e il tennis…
“Mi sono innamorato tardi. Sono nato alla Garbatella, quartiere popolare romano. Da noi lo sport era solo uno, il calcio. A tennis giocavano i fichetti, parlo degli anni Sessanta. Nicola Pietrangeli, il campione di quei tempi, era lontano anni luce dalla quotidianità delle borgate. Al liceo ho cominciato a giocare. Per correre, sudare, passare il tempo, distrarmi dalle ore passate sui libri. Possibilità di successo in campo agonistico? Le stesse che avrebbe avuto la moglie di Fantozzi, se avesse partecipato a Miss Italia. Il colpo di fulmine è arrivato tardi. È stato Adriano Panatta a scatenare la passione. Era il 1976, epoca di cambiamenti. I diciottenni votavano per la prima volta, il Partito Comunista di Enrico Berlinguer otteneva uno straordinario successo e la Democrazia Cristiana faticava a difendere il ruolo di leader. Aaa-dria-no Aaa-dria-no, era il grado d’amore che annunciava la nascita del mondo nuovo. Internazionali, Roland Garros, Coppa Davis. Tutto nello stesso anno. Nessuno avrebbe resistito. I vecchi amanti del tennis, il popolo dei gesti bianchi, era impaurito dall’arrivo di queste truppe che parlavano il linguaggiodel popolo. Non era una rivoluzione, ma una mutazione generazionale sicuramente sì. Successivamente, fare il giornalista al Corriere dello Sport-Stadio ha contributo ad alimentare questo interesse. Ho seguito Slam, Coppa Davis, FedCup, Internazionali. Incontrato campioni, visto partite. E alla fine è diventato un lavoro. Per fortuna non ho mai perso la capacità di emozionarmi. Un ricordo su tutti: la vittoria di Francesca Schiavone al Roland Garros 2010. Lei era ed è la mia tennista preferita. Per come giocava, ma anche e soprattutto perché avevamo trovato un filo che ci univa. Le interviste diventavano uno scambio di opinioni, non nascondeva aneddoti, regalava emozioni. Adesso c’è Matteo Berrettini a tenere sveglia la passione. Un picchiatore di talento, in un articolo sul mio vecchio giornale l’ho paragonato a Joe Louis. La boxe è per me lo sport del cuore. Che ci sia un tennista che me la ricordi, non può che farmi piacere”.
Da quale suggestione nasce un libro come “Il caso Anna K.”?
“Ho vissuto da testimone l’epoca Kournikova. Mi è sembrato che l’unica chiave di lettura usata sia stata quella che faceva perno sulla provocante sensualità della russa. Ho pensato di analizzare il caso, di capire cosa ci fosse dietro. Mi incuriosiva il fatto che avesse guadagnato 70 milioni di dollari, molti di più di tenniste decisamente migliori, senza vincere un solo torneo WTA dei 110 giocati. Ho sempre pensato che la Kournikova sia stata un bene per il tennis, scrivendo il libro ho capito meglio perché lo fosse. Ha generato interesse attorno al mondo WTA, ha portato sponsor, aumentato l’audience televisiva, attirato ricchi patrocinatori, ingigantito la forza del messaggio sino a farlo diventare universale. E poi non era così scarsa come molti l’hanno dipinta. A 16 anni semifinalista a Wimbledon, a 19 numero 8 del mondo. Ho pensato che il tema meritasse un approfondimento. La sua è una storia piena di sfaccettature”.
I tabloid inglesi o americani l’hanno definita “la tennista del peccato”. Il libro contesta questa tesi. Ne sei pienamente convinto?
“Non c’è stata una sola volta in cui il suo nome sia apparso su un giornale, accanto a uno scandalo che poi si sia rivelato realmente accaduto. Il capitolo 4, il cui titolo non a caso è NUDA, racconta nel particolare cosa io intenda con queste parole. Ho cercato di raccontare Anna Kournikova senza farmi influenzare da alcun pregiudizio”.
Più accattivante ancora rispetto al titolo, il sottotitolo: che ci fanno assieme Becker, Marilyn e il Boss, ovvero Bruce Springsteen?
“Non posso che cominciare dal Boss. È il mio artista preferito, chi mi segue sa che inserisco una strofa delle sue canzoni in quasi tutti i miei libri. Mi piace la sua musica, la narrazione forte e senza concessioni retoriche della provincia americana, la voce, il modo in cui si concede durante i concerti. È la colonna sonora dei miei racconti. Onore a Bruce Springsteen. Marilyn Monroe è l’altra faccia di Anna K. Una bionda con una incredibile carica erotica, decisamente più provocatrice della Kournikova. E più bella. La differenza sta nel modo in cui hanno governato le proprie vite durante il più intenso periodo lavorativo. Anna ne è stata protagonista e regista, ha gestito il sistema e non si è fatta gestire. Marilyn è stata la vittima che non è mai riuscita a ribellarsi. Il contrasto tra le due mi ha intrigato, così le ho messe a confronto. Boris Becker? Un altro motivo per esaltare le differenze. Basta leggere il palmarès del tedesco per capire cosa intendo”.
Che campionessa sarebbe diventata, la Kournikova, se non si fosse ritirata così presto?
“Anna K. ha lasciato il tennis a 22 anni. In alcuni momenti ha mostrato accenni di grande talento. Ha sconfitto le migliori, è approdata alla semifinale di uno Slam, è stata Top Ten. Giocatrice aggressiva, praticava un tennis di potenza. Debole nel servizio, non aveva concluso il lavoro di perfezionamento tecnico che Nick Bollettieri aveva cominciato. La mamma glielo aveva impedito, pensava bastasse lei come coach. Ma il problema che ne ha bloccato la crescita, che l’ha spinta a un prematuro abbandono, è stata la ripetitività degli infortuni. Alle caviglie, al polso, alla schiena. Non era allenata per sostenere lo stress fisico prolungato, quello che le competizioni ad alto livello pretendono. Ma resta sempre una protagonista assoluta di questo mondo sportivo. Ha scritto Ben Rothenberg sul New York Times: “Anna Kournikova è stata uno dei dieci personaggi più importanti nella storia del tennis femminile”.
Una domanda retorica, ora: le tue pagine sono incentrate più sulla donna o sulla campionessa?
“Racconto una ragazza, poi diventata donna, che ha vissuto il tennis come un mezzo per realizzare i suoi progetti. Come scrivo nel libro: “Ha camminato su un sentiero pericoloso, passeggiato su un filo sospeso nell’aria tra due grattacieli. Da una parte il tennis, dall’altro i soldi della pubblicità. Quando è arrivato il momento di scegliere, ha virato verso il secondo. Non rinnegando mai il primo. Lei apparteneva a quel mondo, che le ha permesso di arrivare dove voleva. E per riuscirvi non le bastava solo essere attraente. Le serviva credibilità nel momento in cui svolgeva il suo lavoro. L’ha avuta, nonostante una campagna demolitrice abbia cercato di seppellirla sotto una valanga di fango”. Anna Kournikova è stata una sensuale provocatrice. Una tennista fuori dagli schemi. Spero di essere riuscito a raccontare entrambe”.