Calcio e Reggae: la passione per il pallone di Bunny Wailer
“Mens Sana in Corpore Sano”: è questa, come già spiegatovi in articoli precedenti, la cosiddetta filosofia di vita che ha avvicinato in più occasioni la musica reggae al mondo dello sport in generale. Un’unione che ha interessato numerosi artisti di questo genere musicale nato e sviluppatosi in Giamaica dalla metà del XX secolo.
Tra i cantanti che più sono riusciti a unire questi due ambiti non possiamo non citare Bob Marley. Per chi non lo sapesse il re del reggae all’inizio della sua carriera, da metà anni ’60 a metà anni ’70 del XX secolo, fece parte del gruppo dei “The Wailers” insieme ad altre due personalità che, gli amanti delle good vibes, avranno sentito citare almeno una volta nella vita: Peter Tosh e Bunny Wailer.
Proprio sul secondo vogliamo concentrare la nostra attenzione visto che oggi, venerdì 10 aprile 2020, spegne 73 candeline.
Neville O’Riley Livingston, da tutti più conosciuto con lo pseudonimo di Bunny Wailer, nacque infatti il 10 aprile 1947 a Kingston, la capitale giamaicana. Poco dopo la nascita si trasferì nel piccolo villaggio di Nine Mile, nella parte settentrionale dell’isola caraibica, dove conobbe un ragazzo del luogo che di nome faceva Robert Nesta Marley.
Oltre a questo sono ancora altri punti in comune tra i due futuri artisti reggae. Entrambi, infatti, crebbero grazie all’aiuto di uno solo dei genitori: Bob con la madre Cedella e Bunny con il padre Thaddeus “Toddy” Livingston.
Con Bob, Neville strinse subito una forte amicizia e, nel 1963, i due decisero di formare insieme a Tosh un vero e proprio gruppo ska, la musica nativa della Giamaica che in quel periodo andava più di moda, e lo chiamarono, come detto sopra, “The Wailers”. Il primo pezzo ufficiale della band fu “Simmer Down” che ancora oggi è considerato un vero e proprio pilastro del genere.
Purtroppo però, nel 1973, il gruppo si sciolse viste varie incomprensioni sorte tra il trio di cantanti. Due di essi, Bunny Wailer e Peter Tosh, non erano difatti molto d’accordo sulle scelte “di marketing” che la voce più importante del trio, Bob Marley, stava prendendo per farli conoscere sul mercato internazionale.
Anche l’avvento della figura di Chris Blackwell, proprietario dell’importante etichetta discografica della Island Records, fece salire ancor di più la tensione nel gruppo. Per tali ragioni, da quel 1973 cominciò una importante carriera da solista per Bunny che continua tuttora.
L’influenza che Bob Marley esercitò sul cantante fu importante, però, anche sotto altri punti di vista. Per prima così riuscì a farlo convertire alla religione rastafariana che metteva, in testa tra le sue numerose battaglie da portare avanti, quella della lotta al razzismo dilagante al livello mondiale e quella legata al concetto del cosiddetto panafricanismo.
Inoltre Nesta riuscì a far innamorare Wailer del calcio, lo sport più amato e praticato dal re del reggae. Purtroppo non abbiamo notizie di partite “speciali” giocate in prima persona dallo stesso Bunny Wailer nel corso della sua vita.
Però come affermato dallo stesso Livingston, in una intervista rilasciata al quotidiano The Gleaner, egli si considerava “un calciatore, oltre ad essere un artista. Il mio sport favorito è il calcio. C’erano altri sport da me amati- atletica leggera, tennis da tavolo, cricket – ma il calcio è il numero uno”.
Nel 2010 il mondo del pallone interessò in prima persona questo cantante reggae visto che, proprio in quell’anno, si teneva la diciannovesima edizione della Coppa del Mondo di calcio. Il paese scelto a ospitarla era stato uno dei più importanti dell’intero continente nero: il Sudafrica.
Il grande stato del Capo di Buona Speranza aveva già attirato l’attenzione di Bunny Wailer nel 1989. Quell’anno uscì infatti l’album “Liberation” del cantante in cui in un pezzo in particolare, dal titolo “Botha the Mosquito”, si esortava il governo di Cape Town a mettere fine al razzismo legato al concetto dell’apartheid.
Circa 10 anni fa, invece, Wailer parlò nuovamente del gran paese dell’Africa australe ma solo in chiave positiva. Già il titolo del pezzo: “Congratulation South Africa” rende bene l’idea.
Grazie a questa canzone si riuscivano ad unire due grandi passioni dell’artista già citate: il calcio e il panafricanismo. Come spiegato da Bunny Wailer d’altronde: “L’Africa è stata il nostro argomento più importante e necessario per tutto il tempo, da Marcus Garvey in poi. Siamo consapevoli che siamo africani portati fuori dall’Africa, per colpa del colonialismo, e io stesso, avendo vissuto quell’esperienza, ho sempre spinto per il rimpatrio come Rastaman. Quindi, per vedere dove tutta quella tradizione ha portato la selezione del Sudafrica ad ospitare questo grande gioco, il gioco più bello del mondo che è il calcio, mi sono messo in una posizione in cui dovevo dire qualcosa. Ho dovuto contribuire in tal senso opportunità, verso quel destino che è il Sudafrica”.
Insomma, ancora una volta, ecco che il reggae si dimostra anche una musica “di parte” che ha un qualche messaggio importante da trasmettere a chi la ascolta. Sicuramente, anche in futuri articoli, uscirà qualche altra bella storia da raccontarvi su questa bella ed interessante unione.